Yucatan
e Quintana Roo
Lo Yucatan ha
rappresentato il nostro primo approccio con il
Messico. Sono passati ormai diversi anni dal
1995, epoca del primo nostro viaggio in questa
nazione, che ci stregò a tal punto da farci
tornare altre due volte e che ci è rimasta
letteralmente nel cuore. Spero un giorno di
tornare nella penisola yucateca, sebbene
purtroppo, sempre più frequentemente, leggo di
come le cose siano cambiate rispetto al periodo
dei nostri viaggi. I prezzi sembrano essere
notevolmente aumentati a causa del sempre più
crescente flusso turistico, con un conseguente e
spropositato sviluppo alberghiero sulla costa del
Quintana Roo. Forse non troveremo mai più ciò che
lasciammo, ma noi conserveremo per sempre un
ricordo davvero indelebile di queste terre, che
seppero ammaliarci con i loro incredibili colori,
con la loro gente cordiale e calorosa, con un mix
unico costituito da imponenti città Maya e
natura, nella quale recita un ruolo di
prim'ordine uno dei mari più spettacolari del
mondo.
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Qualche
informazione di carattere generale
Yucatan e
Quintana Roo sono senza dubbio da annoverare tra
gli stati più turistici del paese, grazie
proprio alla grande ricettività alberghiera, ai
numerosi voli charter che atterrano
quotidianamente all'aeroporto internazionale di
Cancun, e alle incredibili attrattive che gli
stessi possiedono. Sebbene quindi per molti
viaggiatori lo Yucatan è sinonimo stesso di
Messico, personalmente credo che questo stato sia
da collocare in un posto speciale all'interno
della nazione, in quanto presenta delle
caratteristiche proprie dal punto di vista
fisico-culturale, che per certi versi lo
differenziano dal resto del paese. E' il caso di
ricordare ad esempio la completa assenza di
rilievi montuosi, esistendo delle basse colline
solo nell'importante zona archeologica denominata
Puuc, ed essendo la penisola yucateca costituita
da un'immensa piattaforma di calcare e corallo,
ma occorre anche menzionare la mancanza di fiumi
e laghi in buona parte della regione. Osservando
infatti lo Yucatan dall'aereo ad esempio, lo
stesso appare come un'immensa distesa
pianeggiante, coperta in gran parte da una
fittissima vegetazione. La particolare morfologia
del terreno, fa sì inoltre che l'acqua piovana
venga rapidamente assorbita, per poi scorrere
attraverso numerosi rivoli sotterranei. Nel corso
degli anni, in molti punti l'acqua ha eroso il
calcare creando lentamente delle pozze d'acqua
naturali, i famosi cenotes, attorno ai quali
sorsero le principali città della civiltà Maya.
Lo Yucatan ospitò infatti questo grandissimo
popolo, il quale prosperò anche nelle terre
corrispondenti agli attuali stati del Belize, del
Guatemala e dell'Honduras. Le città erette da
questa misteriosa ed evoluta civiltà
rappresentano oggigiorno una delle principali
attrattive turistiche della penisola yucateca e
gli appassionati d'archeologia troveranno in
questa parte di mondo dei veri e propri tesori.
Ma anche la natura è stata davvero generosa con
queste terre, ed ecco ad esempio che per circa
280 chilometri, da Isla Mujeres fino
all'Honduras, corre parallela alla costa del
Quintana Roo e del Belize la seconda barriera
corallina del mondo per estensione, mentre
l'interno del paese presenta una flora assai
ricca e diversificata, e vale ovviamente anche la
pena di ricordare il considerevole numero di
animali esotici presenti nella penisola, alcuni
dei quali facilmente avvistabili tipo le iguana,
o altri che raramente il turista può incontrare,
come i giaguari che ancora vivono nella selva o i
caimani presenti presso il Rio Lagartos o in
alcuni tratti della Sian Ka'An Reserve, o
numerosi altri animali assai caratteristici tipo
gli armadilli, i tapiri, i pecari, oltre a
tantissime specie di uccelli. Sono insomma
fortemente convinto che gli stati di Yucatan e
Quintana Roo possano soddisfare anche i
viaggiatori più esigenti, considerate proprio le
innumerevoli attrattive naturalistiche, storiche
e culturali che possiedono. |
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Oltre
alla natura e all'antica civiltà dei
Maya, uno dei più affascinanti aspetti
di un un viaggio in queste terre, è
rappresentato senza dubbio dal contatto
che si avrà con la fantastica gente che
oggi popola gli stati dello Yucatan e
Quintana Roo, diretti discendenti proprio
dei Maya. Fuori dai maggiori centri le
donne indossano ancora le caratteristiche
huipil, e la cosa che più colpirà il
viaggiatore sarà soprattutto la loro
lingua, considerato che gran parte della
popolazione parla tutt'oggi dei dialetti
locali. Infatti, nonostante l'istruzione
sia obbligatoria in Messico dal 1917 e si
usino nelle scuole testi scritti in
spagnolo, in numerosi villaggi si
continua ancora a parlare la lingua
tradizionale. Vale la pena inoltre di
ricordare che lo Yucatan è uno degli
stati dove la maggior parte della
popolazione è costituita da indigeni e
non da meticci, che rappresentano
sostanzialmente la maggioranza dei
cittadini messicani e l'essenza stessa
della nazione, come riportato su una
significativa lapide esposta sulla Piazza
delle tre culture di Città del Messico. |
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Come sempre,
un viaggio non può considerarsi tale senza un
ulteriore viaggio nella cucina del paese che
visitiamo. Lo Yucatan offre numerosi piatti
caratteristici della regione, e su tutti vale la
pena di ricordare il pollo o maialino da latte
(localmente chiamato cochinita) cotti alla
maniera "pibil", i quali vengono
cucinati nella salsa achiote, composta da succo
di arance amare, cipolle, coriandolo e sale,
assieme ad aglio, cumino, pepe nero, e vengono
infine avvolte in foglie di banane ed arrostiti.
Altro piatto caratteristico è la "sopa de
lima", un brodo di pollo assai squisito, il
quale viene insaporito a dovere con la limetta.
Consiglio inoltre di provare la saporita
"carne al pastor". Ovviamente in nessun
ristorante mancheranno le tortillas, considerato
che il mais era alla base dell'alimentazione dei
Maya e che addirittura regolava la vita degli
stessi. Il mio consiglio è comunque quello di
abituarsi gradatamente alla nuova cucina, spesso
assai piccante, fritta e speziata, onde evitare
la fatidica "Vendetta di Montezuma",
ovvero una forte diarrea. In quel caso, credo che
un medicinale tipo il Dissenten sia praticamente
indispensabile. |
Il periodo
migliore per viaggiare nello Yucatan, Quintana
Roo e nel Mexico in generale, corrisponde al
nostro inverno, in quanto il clima è più
fresco, il tasso di umidità contenuto e le
precipitazioni scarse. Durante i nostri mesi
estivi invece, le temperature sono piuttosto
alte, e si riscontra un notevole tasso di
umidità. Ne consegue che la maggior parte delle
precipitazioni si verificano tra maggio ed
ottobre. Questo ovviamente a livello statistico,
considerato che nel corso dei nostri due viaggi
in agosto, effettuati tra Yucatan e Quintana Roo,
abbiamo preso pochissima pioggia, ed abbiamo
trovato ovunque un mare altamente spettacolare.
Una buona dose di fortuna quindi non guasterebbe
per chi si appresta a viaggiare nella nostra
estate in questi stati messicani, anche per
scongiurare l'arrivo di eventuali uragani, che si
abbattono stagionalmente tra fine agosto ed
ottobre sulle coste del Caribe. |
Noi ci siamo
sempre spostati con gli autobus locali,
abbastanza economici e confortevoli, che ci
permisero di girare tranquillamente lungo la
penisola yucateca. Ogni cittadina dispone del
proprio terminal, mentre in alcuni piccoli centri
l'autobus sarà solo "de paso", di
passaggio. Il mio consiglio è quello di
prenotare con un certo anticipo gli autobus di
prima classe, garantendosi in questo modo
l'asiento, ovvero il posto a sedere, sebbene
all'epoca del mio viaggio alcune località erano
toccate solo da autobus di seconda classe, dove
chi prima sale, ovviamente... siede. Conservo
un buon ricordo degli stessi, sebbene ritengo che
il miglior modo per muoversi più autonomamente
all'interno dello Yucatan e lungo la costa del
Quintana Roo, sia quello di noleggiare
un'automobile, che ovviamente presenta però
l'inconveniente di far lievitare sensibilmente il
costo del viaggio. In questo caso occorre
prestare particolare attenzione alle numerose
"topes", dei dossi sparsi un pò
ovunque lungo le principali strade, i quali
servono a far appositamente rallentare gli
autoveicoli.
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Come
precedentemente scritto, le attrattive presenti
negli stati di Yucatan e Quintana Roo sono
praticamente illimitate, pertanto può risultare
difficile indicare le cose da vedere, e noi
stessi, per appronfondire un pò più questi due
stati, vi abbiamo viaggiato due anni consecutivi,
non riuscendo tra l'altro a vedere alcuni
importanti siti archeologici, che speriamo
comunque di visitare in futuro. Noi
pensammo di iniziare il nostro viaggio da Merida, la capitale dello
Yucatan, dalla quale, usandola come base, si
possono organizzare delle interessanti
escursioni. Prima tra tutte quella al principale
sito Maya della Ruta Puuc, ovvero Uxmal.
All'epoca
del nostro viaggio questo sito era raggiungibile
esclusivamente tramite degli autobus di seconda
classe, mentre sembra che ora ci sia un autobus
che in giornata consente di visitare oltre Uxmal,
anche gli altri siti Puuc come Kabah, Sayil, Xlapak e Labnà. Noi non abbiamo avuto
la fortuna di visitare gli altri siti Puuc, ma
ritengo che Uxmal meriti davvero molto, e credo
sia doveroso dedicargli il maggior tempo
possibile. Il mio consiglio è infatti di quello
di soggiornare nei pressi dei maggiori siti
archeologici che si intendono visitare, anche per
poter accedervi al mattino presto, ed evitare
l'inevitabile ressa dei turisti dei gruppi
organizzati, che si creerà a metà mattinata.
Altra consiglio che posso dare, è quello di
effettuare qualche visita di domenica, in quanto
non si paga in tutto il Messico il biglietto
d'ingresso nei musei e nei siti archeologici.
Un'altra interessante escursione effettuabile in
giornata da Merida è quella di Celestun, un piccolo villaggio
di pescatori sulla costa del Golfo del Messico,
dove, specie nei mesi invernali, è possibile
effettuare un ottimo birdwatching, considerato
che il posto viene scelto come sosta dai
fenicotteri rosa durante la loro migrazione dalle
zone fredde del nord, al Sudamerica. A circa
metà strada tra Merida e Cancun si trova Chichén Itzà, il sito archeologico
meglio restaurato e più conosciuto di tutto lo
Yucatan, la cui notevole estensione merita la
visita di almeno un giorno pieno.
Adiacenti
a uno degli ingressi del sito, sorgono gli
alberghi Mayaland e Hacienda Chichén dove
abbiamo dormito noi, che consiglio a chi vuole
dormire praticamente a ridosso del sito, mentre a
qualche chilometro si trova l'hotel Dolores Alba,
più distante e per questo anche più economico.
Degne di nota a pochi chilometri dalle rovine
sorgono le Grotte
di Balankanche, dove, oltre a decine di stalattiti, è
possibile ammirare numerosi oggetti cerimoniali
Maya. Nel corso del nostro primo viaggio, da
Chichén Itzà proseguimmo per Cancun, cambiando
solo autobus a Valladolid, mentre ci risula che molti viaggiatori
si fermano anche per una o più notti in questa
piccola cittadina, la quale sembra tutt'oggi
conservare la tipica atmosfera yucateca del
passato. Nei pressi di Valladolid è possibile
visitare lo spettacolare Cenote Dzitnup, una delle maggiori
attrattive del circondario. Trasferendoci sulla
costa e di conseguenza nello stato del Quintana
Roo, il maggior centro turistico per antonomasia
è rappresentato dalla città di Cancun, la quale dispone di un
battuto aeroporto internazionale. Cancun è una
città sorta a tavolino, appositamente progettata
per far conferire nelle tasche del governo
messicano denaro contante. Le più grandi catene
alberghiere sono sorte lungo il paseo Kukulcan,
dove si alternano altresì immensi centri
commerciali, conferendo al tutto un'immagine
artificiale, poco messicana e decisamente kitch.
Pur tuttavia, ritengo che si possa
tranquillamente soggiornare una o due notti a
Cancun, magari usandola come base per visitare
qualche attrattiva del circondario, ed inoltre,
in alcuni punti come in prossimità dell'hotel El
Pueblito il mare è decisamente spettacolare. Con
appena una ventina di minuti di traghetto, da
Cancun si raggiunge Isla Mujeres, un'isoletta lunga otto
chilometri, e larga appena quattrocento metri nel
suo punto più ampio. Nonostante venga indicata
da molte guide come un posto affollato, a noi
l'isola è piaciuta molto, e nel corso del nostro
secondo viaggio del 1996 vi abbiamo soggiornato
tre notti, constatando che in realtà è molto
meno affollata di quanto venga descritto.
Incamminandosi sulla sinistra appena sbarcati dal
traghetto, con una breve passeggiata si raggiunge
Playa Norte, nota anche Playa Cocoteros. Si
tratta di una spettacolare spiaggia bianchissima,
bagnata da un mare cristallino estremamente
calmo, i cui fondali degradano molto lentamente
verso il basso, tanto che per farsi arrivare
l'acqua alla cintura, occorre camminare per
almeno una trentina di metri. La spiaggia è
frequentata da giovani viaggiatori, il cui
ritrovo serale è costituito da un particolare
bar all'aperto, dove si può assistere al
tramonto sorseggiando magari una tequila o un margarita.
Anche
Playa Lancheros, ubicata a sud del paesino è una
spiaggia discretamente bella, mentre degno di
nota è il parco nazionale El Garrafon (nella foto sotto), dove è possibile
effettuare dell'ottimo snorkeling, sebbene
risulti abbastanza battuto nella metà mattinata
dagli escursionisti provenienti da Cancun.
Partendo
proprio da Cancun in direzione sud, inizia il
tratto di costa un tempo noto come El corridor
Cancun Tulum, oggi tristemente ribattezzato
Riviera Maya, dove stanno sorgendo un pò ovunque
complessi alberghieri e villaggi turistici. Nel
corso del nostro primo viaggio del '95 sostammo a
Playa del
Carmen,
credendo di trovare il classico villaggio di
pescatori del caribe, secondo quanto scritto
nelle guide, ma fu per noi una vera e propria
delusione, in quanto il posto risultò troppo
turistico e confusionario oltre misura. Da Playa
del Carmen salpano frequentemente i veloci
aliscafi che raggiungono Cozumel, un'isola abbastanza
grande, in quanto lunga circa 47 chilometri e
larga 15. Cozumel dispone di un aeroporto
internazionale e, come Cancun, è frequentata
soprattuto da turisti nordamericani, con il
conseguente rincaro del costo della vita, ma è
anche in assoluto uno dei migliori posti al mondo
dove effettuare immersioni subacquee e
snorkeling. I fondali di quest'isola sono infatti
ricchissimi di fauna, ed anche semplicemente
gettando delle briciole di pane in acqua, si
potranno vedere decine e decine di pesci.
Qui,
la cosa migliore è quella di noleggiare una
piccola auto o un motorino e girare in
tranquillità l'isola. La costa occidentale è la
più frequentata e la più adatta alla
balneazione, in quanto possiede acque tranquille,
mentre il versante orientale è più roccioso, ed
alterna calette in cui è possibile nuotare e far
snorkeling, a tratti in cui il mare presenta
delle gigantesche onde. Sulla costa occidentale
sorge San Miguel, un paesino dotato di molti
servizi quali banche, ristoranti, negozi, etc.
Sono molte le spiagge del versante ovest, tutte
lambite da un mare dalle incredibili trasparenze,
ed
una menzione particolare merita il parco di
Chankanab, costituito da una splendida laguna
naturale collegata al mare tramite delle gallerie
sotterranee. Anche l'adiacente baia è altamente
spettacolare, e particolaremente indicata a chi
pratica snorkeling, in quanto è presente
un'attigua barriera corallina che degrada in
profondità dai 2 ai 16 metri. Altra bella
spiaggia degna di nota, dove è sempre possibile
praticare dell'ottimo snorkeling è la Playa San
Franciso, situata a sud del Chankanab Park. Vale
la pena di ricordare inoltre che sull'isola di
Cozumel sono presenti alcune piccole rovine Maya,
in quanto l'isola era meta di pellegrinaggio
delle donne, che venivano a venerare Ixchel, la
dea della fertilità. Tornando sulla costa, altro
posto famoso e meritevole di soggiornarvi è
secondo me Akumal, la cui bella baia è
protetta dal reef che lambisce la costa,
rendendola quindi davvero adatta allo snorkeling
ed immersioni subacquee, e, come ci è
personalmente capitato, non è affatto raro
nuotare indisturbati assieme a splendidi
esemplari di tartaruga. Ancora a sud di Akumal
s'incontrano le rovine Maya di Tulum, la cui particolarità
è quella di cadere a picco sul mare, che in
questo punto assume generalmente dei colori
davvero incredibili. All'epoca del nostro primo
viaggio, a sud di Tulum c'era praticamente il
nulla, in quanto esistevano solo un paio di posti
in cui dormire in prossimità della spiaggia, e
noi stessi soggiornammo in uno spartano complesso
costituito da semplici bungalow, dove non c'era
nemmeno l'energia elettrica. Ora è il posto più
in voga del Quintana Roo, e le cabanas pullulano
letteralmente, con il conseguente lievitamento
dei prezzi. Comunque sia, ritengo Tulum un'ottima
località in cui soggiornare, anche per
effettuare interessanti escursioni giornaliere,
come quelle alle rovine Maya di Cobà, situate ad una
cinquantina di chilometri verso l'interno, e alla
spettacolare riserva di Sian Ka'An, una zona protetta di
circa 528 mila ettari, che annovera in totale
qualcosa come trecento specie diverse di uccelli,
oltre ad altri animali rari come ad esempio gli
alligatori. La zona a sud, verso Punta Allen è
ancora poco frequentata, ed in cuor mio spero che
lo sarà ancora per molto e non ricalchi in alcun
modo lo spietato sfruttamento edilizio perpetuato
nel tratto di costa compreso tra Tulum e Cancun.
Nel nostro primo viaggio, grazie al fortunato
incontro avvenuto con due statunitensi, arrivammo
fino a Xcalak, un piccolo paesino
situato praticamente a ridosso dell'isola
beliziana di Ambergris Caye, il quale era davvero
poco turistico, in quanto abbastanza difficile da
raggiungere. Salpando da Xcalak, in appena un'ora
di barca si raggiunge il Banco Chinchorro, un
imponente e spettacolare banco corallino, dove
effettuare un sensazionale snorkeling e delle
meravigliose immersioni subacquee.
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Il mio racconto di viaggio
Il presente racconto fa parte di
una recensione di un viaggio della durata di un mese,
iniziato e conclusosi a Cuba.
Se volete leggere la parte
iniziale del racconto in terra cubana cliccate qui
16 Agosto 1995: "El Mundo Maya"
Il mattino seguente alle otto in punto, lasciamo
Cuba con un volo della Mexicana de Aviacion per dirigerci
in Messico, un paese che da sempre ci ha attratto. Alle
otto ora locale (due ore in meno rispetto a Cuba),
atterriamo a Merida, la capitale dello stato dello
Yucatan, culla del mondo Maya. Dopo dieci giorni
trascorsi a Cuba, l'aeroporto di Merida risveglia in noi
con le sue pubblicità luminose, il ricordo leggermente
assopito dell'Europa. Il nostro lussuoso Hotel "Casa
del Balam", un tempo casa di ricchi proprietari
terrieri locali, è letteralmente eccezionale con il suo
patio interno in stile coloniale spagnolo circondato da
piante altissime, fontane, e sedie a dondolo in legno
pesante. Le sue enormi camere sono arredate con mobili
neri e sulle pareti adiacenti i due grandi letti
rivestiti da spettacolari coperte azzurro scuro, spiccano
due enormi crocifissi. Davvero un'atmosfera del tempo che
fu. Intorno alle nove del mattino ci rechiamo nello
spettacolare zocalo (la piazza principale della
città), il quale è circondato da alberi, innumerevoli
panchine in ferro battuto,
 |
ed è
sovrastato dalla mole dell'enorme Cattedrale, la cui costruzione
iniziò nel 1561, con le pietre del locale tempio
maya distrutto dagli spagnoli. Allinterno
della stessa troviamo la statua del Cristo
de las Ampollas, la quale secondo quanto
narra la leggenda, fu scolpita nel legno di un
albero che, dopo esser stato colpito da un
fulmine, arse ma non si distrusse. La statua si
salvò in seguito anche dallincendio della
prima chiesa dove venne collocata, ma su di essa
apparvero dei segni simili alle vesciche
procurate da una scottatura, divenendo in questo
modo un caloroso oggetto di culto. In un altro
lato dello zocalo, si erge maestoso il palazzo
del governo, sulla cui sommità, sovrapposto
allintensissimo cielo azzurro contornato da
nugoli di candide nuvole, svetta il tricolore
messicano. Entriamo allinterno del palazzo,
dove osserviamo i colorati murales di un artista
locale chiamato Fernando Pacheco, i quali
illustrano la storia dei maya. Altro edificio di
spicco sulla piazza è la casa dei conquistatori
dello Yucatan, la famiglia Montejo.
Allinterno del palazzo è collocata una
filiale della Banamex, e ne approfittiamo per
prelevare un po di pesos
dalladiacente bancomat. Il palazzo in se
stesso, la cui costruzione risale grosso modo
alla metà del 1500, non sarebbe niente male se
non fosse per la sua facciata, sulla quale sono
rappresentati i conquistadores che
tengono i propri piedi sul collo dei maya,
sostanzialmente a simboleggiare il proprio
dominio. Gironzolando nella piazza, si denota
subito un'evidente differenza con la vicina e
decadente Havana, in quanto questa città di
Merida, ad un primo impatto somiglia molto ad una
nostra cittadina di provincia, sebbene un pò
più caotica. |
Continuando a passeggiare per le
sue strade, ci si rende però conto che, sebbene ci siano
tutti i segni del progresso, quali banche, grandi
automobili, cartelloni pubblicitari, ristoranti e bar, ci
sono anche evidenti segni di indiscutibile sottosviluppo
e povertà, primi fra tutti la miriade di mendicanti e
storpi che si aggirano per la città. In breve tempo
vediamo gente con delle malformazioni tali che non
abbiamo mai visto in vita nostra, anziani elemosinare
fuori dalle chiese, ospedali con la simbolica scritta
"economico", bambini lustrascarpe disseminati
ad ogni angolo della città. Qui il sistema economico è
simile al nostro, qui vige il capitalismo, ma
praticamente quasi non esiste una classe media, in quanto
o si è ricchi in strettissima minoranza, o si è molto
poveri in larghissima maggioranza. Beh, a questo punto,
credo che sarebbe superfluo chiedersi chi comanda il
paese.
Dopo aver
girovagato un pò per questa città, la quale
manifesta tutti i suoi limiti di bellezza appena
ci si allontana dal centro costituito in pratica
dalla zocalo e dalladiacente Parque
Hidalgo, ci rechiamo intorno a mezzogiorno al
mercato municipale. Il caldo tropicale, associato
al notevole smog, creano un cocktail niente male.
Intorno al mercato si vede più colore, un pò
più di Messico autentico, quel Messico che il
turista occidentale immagina, quel Messico fatto
di donne Maya vestite con i loro caratteristici e
candidi huipiles occupate a vendere i propri
prodotti, i loro frutti a noi praticamente
sconosciuti, i loro splendidi tessuti, quel
Messico fatto di suoni, musiche, ed intensi
profumi. Riesco fortunatamente ad accorgermi di
un losco individuo, che fissa con avidità il mio
marsupio ancorato in vita. Mentre ci avviciniamo
al mercato, continuo a tenere d'occhio il
messicano, il quale ci cammina davanti, girandosi
di tanto in tanto per guardarci. Poco prima di
entrare nel mercato coperto (il quale vale la
pena precisarlo, non è un mercato turistico dove
si vendono souvenirs, ma un mercato locale), nel
mezzo di una confusione pazzesca dovuta ai
clacson delle automobili in coda, e alle urla dei
vari venditori, chiedo a mia moglie di fermarsi e
ci sediamo sul ciglio di un marciapiede,
continuando a guardare il nostro amico. Non mi
ero sbagliato, poiché dopo un paio di minuti,
questi vedendo che ci eravamo fermati, torna
indietro invitandoci addirittura ad entrare nel
mercato, ma viene immediatamente allontanato con
toni intimidatori da alcuni poliziotti di
pattuglia, i quali ci invitano a prestare
attenzione, poiché sembra che nel mercato si
siano verificati numerosi episodi di furti ai
danni dei turisti. Il tale era un pò troppo
sospetto, anche per la proverbiale ospitalità
messicana. |
 |
Decidiamo quindi di tornare in
hotel, al fine di lasciare tutto ciò che potrebbe far
gola ad eventuali malintenzionati, e visitare senza
contrattempi il caratteristico mercato di Merida. In
hotel facciamo due conti, constatando che le nostre
finanze sono già state abbondantemente intaccate nei
dieci giorni trascorsi a Cuba, dopodiché pensiamo che
potremmo mai perdere l'occasione di pranzare in uno
spettacolare patio fresco e ventilato, come quello della
"Casa del Balam"? Hamburgesa "bien
cocida" per il sottoscritto, ed un "platillo de
fruta" per la consorte. Lascio circa cinque pesos
(1.000 lire) di mancia al cameriere, non disponendo di
altra moneta, ma questi me li restituisce ridendo
sarcasticamente, e facendomi osservare che la mancia nei
ristoranti de lujo in Messico, ammonta al
dieci per cento del conto, ovvero nel nostro caso a 6
pesos (1.200 lire). Confesso che restiamo interdetti. Ma
dovè finita la signorilità dei camerieri cubani?
In seguito, dopo aver lasciato il marsupio (che non
porterò mai più con me), e con solo pochi spiccioli in
tasca, torniamo al mercato, dove possiamo girovagare
indisturbati tra le molteplici e particolari merci in
esposizione, senza il pericolo di essere molestati.
Terminata la nostra visita, attraversiamo praticamente a
piedi l'intera città, per arrivare alla stazione degli
autobus, dove acquistiamo un biglietto per il giorno
seguente per Uxmal, una delle più belle e famose rovine
della civiltà Maya, distante da Merida circa ottanta
chilometri. Nella stazione, straziati dal caldo tropicale
di Merida, ci sediamo dissetandoci con una Sprite, la cui
lattina vuota, con nostro grande stupore, sarà oggetto
di contesa tra diverse persone. La sera, dopo aver
girovagato ancora una volta nei dintorni dello zocalo, ed
aver fatto qualche piccolo acquisto, ceniamo in uno dei
ristoranti più popolari e caratteristici di Merida
chiamato Tiano's, dove assaggiamo la "Cochinita
Pibil", uno dei piatti più famosi dello Yucatan,
costituito dal maialino da latte cotto nella salsa
achiote, (composta da succo di arance amare, cipolle,
coriandolo e sale), assieme ad aglio, cumino, pepe nero,
ed infine avvolto in foglie di banane e arrostito.
La nostra prima sera in Messico,
scivola ad un tavolo sotto un cielo stellato, circondati
da venditori di amache, da piccoli bambini dai grandi
occhi bruni intenti a vendere i loro tipici braccialetti
colorati, da altri viaggiatori stregati come noi dalla
magnifica atmosfera creata dal suono della
"marimba", il particolare xilofono assai
diffuso nello Yucatan e Guatemala.
 |
Il mattino
seguente, intorno alle otto, partiamo con un
autobus di seconda classe per Uxmal, vecchia città maya in
stile Puuc, dal nome delle basse colline
circostanti. Alcuni studiosi sostengono che lo
stile Puuc, sia tra gli stili
architettonici più puri dei maya, cioè senza
influenze da altri popoli, come nel caso di
Chichén Itzà, laltro sito archeologico
che visiteremo domani, il quale secondo quanto
leggiamo, mostra chiare influenze tolteche. Nello
stile Puuc, a copertura delle grezze mura di
pietra, gli architetti Maya usavano delle
mattonelle intagliate, una specie di tessere di
mosaico sulle quali venivano finemente
rappresentate alcune figure sacre, inoltre le
costruzioni presentano altri splendidi dettagli
come pregevoli fregi ornati e cornicioni
finemente lavorati. Insomma, sembrano attenderci
delle autentiche meraviglie. Sullautobus in
partenza, oltre ad altri turisti come noi,
salgono decine di donne Maya, le quali stipano
nel portapacchi sottostante vari generi di
mercanzie come ortaggi, sacchi di patate e mais,
tacchini. Dopo circa un'ora e trenta di viaggio,
veniamo lasciati sulla strada per le rovine, dove
veniamo assaliti da un branco di fameliche
zanzare. Sant'Autan, pensaci tu!!! |
Varcato il cancello d'ingresso,
si resta completamente colpiti dalla grandiosità della
principale rovina di Uxmal: la piramide del mago.
Una volta superato il vero e
proprio shock emotivo, provocato dalla sensazionale vista
della piramide dai bordi avvolti che le
conferiscono una particolare forma semiellittica, e
scattata qualche irrinunciabile foto, ci accingiamo a
scalarla, constatando subito, che l'impresa non sarà poi
così facile. Infatti, gli innumerevoli gradini che
dividono il suolo dalla cima della piramide, situata ad
una quarantina di metri di altezza, sono incredibilmente
ripidi e con pochissimo spazio su cui appoggiare i piedi
per consentire la salita. Ci sono anche delle catene
appositamente posizionate ai lati della scalinata, per
aiutarsi soprattutto nella discesa. La difficoltà della
scalata, è inoltre aumentata dai problemi che ha, chi
come mia moglie soffre di vertigini.
 |
Comunque, dopo
qualche peripezia e con un gran fiatone,
riusciamo a raggiungere la cima della piramide,
dove troviamo il portale che raffigura la bocca
spalancata di Chac, il dio Maya della pioggia dal
grande naso allungato. Dalla sommità della
piramide si può godere di una spettacolare vista
dell'intero sito archeologico, completamente
circondato dalla foresta. E' veramente bella
Uxmal, ed è affascinante contemplare lo stupendo
paesaggio circostante in tutta tranquillità,
seduti sulla cima della piramide del mago,
leggendo con calma qualcosa sui Maya, sulla loro
storia, attorniati da viaggiatori di varie
nazionalità. Si ha la sensazione non
trascurabile di essere cittadini del mondo, di
avere qualcosa in comune con ognuna di queste
persone, che come noi hanno affrontato ore ed ore
di aereo, spesso con notevoli sacrifici anche
economici, per arrivare in cima a questa piramide
persa nella foresta, per sognare ad occhi aperti
dopo una faticosa scalata, qui, ad Uxmal. |
In circa cinque ore (un pò
pochine per la verità), scaliamo e scopriamo le altre
principali rovine dello splendido sito esteso
approssimativamente su cento ettari. Visitiamo il
quadrilatero delle monache, splendido
edificio quadrangolare circondato da mura, il quale conta
ben 74 stanze. Anche qui, sulla facciata dei quattro
templi che formano il quadrilatero, è chiaramente
visibile dappertutto il terribile volto del veneratissimo
dio Chac, la cui importanza per i maya è ricollocabile
presumibilmente alla scarsità di acqua sulle adiacenti
colline Puuc.
Proseguendo
sulla stradina a sud del
Quadrilatero, incontriamo il piccolo
campo da gioco della palla, meglio noto come
Ulama. Era un gioco crudele,
religioso, rituale, tipico delle popolazioni
mesoamericane. Il campo a forma di I maiuscola,
delimitato sui lati da lunghe gradinate destinate
al pubblico, rappresentava presumibilmente il
mondo, mentre la traiettoria della palla veniva
accomunata a quella del sole e della luna nel
loro avvicendarsi tra giorno e notte, luce e
oscurità. Al centro del campo, su entrambi i
lati, a circa sette-otto metri di altezza, sono
posizionati degli anelli in pietra finemente
scolpita, raffiguranti Quetzalcoatl il terribile
dio serpente piumato degli Aztechi, noto presso i
maya con il nome di Kukulkan. Attraverso questi
cerchi doveva passare una pesante palla in
caucciù, la quale poteva essere colpita dai
partecipanti solo con le anche, protette da
apposite imbottiture di cuoio. Era un cruento
gioco tra i vari partecipanti, dove in palio
cera la vita. Chi perdeva veniva
sacrificato agli dei, sempre avidi di nuove
immolazioni. Mentre ci allontaniamo dal campo da
gioco della palla, riflettiamo scherzando
sullaltra teoria diffusa da alcuni
studiosi, i quali sostengono che veniva
sacrificato agli dei colui che vinceva il gioco,
ed il tutto ci sembra decisamente bizzarro. |
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Visitiamo in seguito il
palazzo del governatore, magnifico edificio
costruito su tre piattaforme ottimamente conservato, il
quale misura circa cento metri di lunghezza e presenta
ben undici entrate. A differenza degli altri, esposti
verso ovest, questo è anche lunico edificio
del complesso rivolto ad est, probabilmente per il fatto
che lo stesso veniva usato dai grandi astronomi Maya per
osservare il pianeta Venere. Sulla parte superiore
ammiriamo neanche a dirlo, unestesa serie di
bassorilievi raffiguranti le ennesime maschere del dio
Chac. Adiacente alla costruzione troviamo la casa
delle tartarughe, un piccolo edificio così
chiamato dagli archeologi a causa di un sfilata di
tartarughe scolpite con i loro gusci sul cornicione
superiore. Tra una pausa e l'altra, con un pizzico di
fortuna scorgiamo anche degli animali caratteristici,
assai diffusi nelle rovine, come alcune gigantesche
iguane, e delle particolari lucertole color verde
smeraldo. Dopo aver visitato la gran
piramide, e la colombaia, altre rovine
che non ci hanno particolarmente entusiasmati, intorno
alle quindici usciamo dal complesso archeologico, ed in
attesa di prendere l'autobus per il ritorno a Merida,
girovaghiamo un pochino, tra le varie bancarelle gestite
da donne di origine Maya.
Visto che non esiste una
stazione, occorre comperare il biglietto dell'autobus
direttamente dal conducente, il quale assegna i pochi
posti a sedere, probabilmente a simpatia. Difatti, la
prima volta che mi rivolgo a lui, mi dice che i posti a
sedere sono terminati, ma dopo aver parlato con un
ragazzo italiano dalla straordinaria rassomiglianza con
un nostro vecchio compagno di classe, il quale mi ha
detto di aver visto l'autista consegnare ad alcune
persone i biglietti con "l'asiento", torno dal
messicano con un grandioso colpo di genio. Infatti, con
una parte da grande attore, quale credo di esser sempre
stato, gli dico che ci ha assegnato dei posti in piedi
per un tragitto di un'ora e mezza, nonostante mia moglie
si trovi in stato interessante. Il tizio scusandosi, mi
sostituisce immediatamente i biglietti, assegnandomi i
posti, cosa che deve aver letteralmente fatto impazzire
il sosia del nostro vecchio compagno, visto che quando
gli ho mostrato i biglietti numerati (ovviamente senza
raccontargli l'espediente usato per ottenerli), questi si
è diretto con istinto omicida verso l'autista,
protestando come una furia. Prima di salire sull'autobus
parlo un pò con il ragazzo italiano, scambiandoci le
impressioni di viaggio e resto affascinato dal suo
itinerario in Messico, raccontandogli a mia volta
qualcosa su Cuba. Credo che il bello del viaggiare, sia
anche questo. Dopo un tragitto più lungo del previsto,
con le persone esauste, coricate persino sul fondo
dell'autobus, arriviamo a Merida verso le cinque del
pomeriggio e girovaghiamo per le sue spoglie e polverose
strade. Il percorso a piedi, dalla stazione degli autobus
allo zocalo, mostra l'aspetto genuino di questa città,
con i negozi che al posto dell' insegne, hanno le scritte
verniciate sui muri, con dei piccoli locali dove a
qualsiasi ora mangia la gente del posto, con delle
pittoresche chiesette, con alcune fumose cantinas.
Facciamo una breve sosta da Tiano's assaggiando per la
prima volta il cocktail nazionale, cioè il
"Margarita", mentre la sera ceniamo al
ristorante Los Almendros, dove gustiamo il pavo
relleno negro, ossia tacchino ripieno di carne di
maiale notevolmente speziata e ricoperto da una salsa
scura, che accompagniamo con delle squisite e calde
tortillas, ed annaffiamo con la locale birra
Montejo. Ci addormentiamo, con il pensiero
rivolto alle autentiche meraviglie che abbiamo
contemplato in giornata. Il giorno seguente (18 di
Agosto), alle 7,30 lasciamo definitivamente Merida in
autobus di prima classe, per dirigerci alla volta di Chichén Itzà, le rovine Maya più famose di
tutto lo Yucatan. Chichén Itzà rappresenta la fusione
architettonica di più culture, dove ad esempio, i fregi
decorativi dello stile puuc si fondono con
gli elementi squadrati e le piattaforme dei toltechi, il
bellicoso popolo proveniente dal Messico centrale, la cui
capitale era Tula, situata a nord di Città del Messico.
In realtà sembra che la città sia stata costruita ben
tre volte, la prima delle quali dovrebbe risalire al
quinto secolo dopo Cristo, su uno stile molto simile al
Puuc, come si evidenzia in alcuni edifici dalle diverse
effigi del dio della pioggia Chac. Nel corso dei secoli
fu abbandonata e riscoperta sia dai Maya di lingua itzà,
provenienti dalla regione del Tabasco, sia dai Toltechi
del Messico centrale. Dopo circa due ore e trenta di
viaggio, scendiamo dall'autobus, che proseguirà la sua
corsa verso la cittadina di Valladolid, e dopo aver
acquistato il biglietto dingresso, attraversiamo
bagagli in mano tutto il percorso che si snoda attraverso
le rovine, rimanendo ammutoliti dinnanzi la maestosità
degli splendidi siti. Con fretta depositiamo i bagagli
nel nostro albergo chiamato Hacienda Chichen (che abbiamo
riservato grazie allhotel di Merida) posizionato
appena fuori il complesso archelogico, per avventurarci
intorno alle 10,30 in questa vasta area, testimone in
pieno, dello splendore della civiltà Maya. Scaliamo per
primo "El Castillo", la principale piramide del
luogo alta circa 25 metri, nota anche come piramide di
Kukulcan, meno pericolosa, ma
altrettanto spettacolare della piramide del mago di
Uxmal.
Sotto una delle quattro facciate
notiamo una lunga fila alla quale ci accodiamo, perché
El Castillo contiene al suo interno
unaltra piramide, dove ammiriamo tra laltro
una scultura di un giaguaro di giada dipinta di rosso. Ma
forse la più importante particolarità della
Piramide di Kukulcan, la cui somma dei
gradini delle quattro facciate e della piattaforma in
cima, corrisponde ai 365 giorni del calendario Maya,
consiste nel singolare fatto che negli equinozi di
primavera e autunno, grazie alle grandi conoscenze
astronomiche dei Maya, abili nel calcolare la posizione
del sole rispetto alla terra, la stessa riflette sul
terreno un'ombra raffigurante un serpente strisciante.
Lenorme statua in posizione distesa del Chac Mool,
il dio che tiene tra le mani una ciotola destinata a
raccogliere i cuori pulsanti appena strappati dalle
vittime sacrificate, sembra vegliare imperterrito sulle
orde di turisti che si accingono a scalare la
piramide di Kukulcan. Alle sue spalle
visitiamo il tempio dei guerrieri, vicino al
gruppo delle mille colonne, sulle quali sono
scolpite immagini di guerrieri armati, e dalle quali
arriviamo ad un edificio che si pensa avesse la funzione
di un mercato.
Gli studiosi sostengono che il
tempio dei guerrieri presenti delle profonde
analogie con il tempio tolteco di Tula, grazie alle
colonne costituite da serpenti piumati, e dai motivi
raffiguranti alcuni animali come i giaguari in cammino, i
puma, e soprattutto le aquile che simboleggiavano gli
ordini militari presenti negli altipiani messicani.
Chichén Itzà a mio modesto parere, è indubbiamente
più bella e grandiosa rispetto ad Uxmal, ed infatti
lintera giornata che le dedicheremo sarà
insufficiente, considerata l'estensione della città. Una
menzione particolare merita l'enorme campo del gioco
della palla presente a Chichén Itzà, il più grande
rinvenuto in tutto il Messico, dove navigando con la
fantasia, si possono immaginare le gare che vi si
svolgevano, nelle quali era in palio la vita, che poteva
essere sacrificata agli dei in caso di sconfitta (o di
vittoria secondo altre teorie).
Le mura intorno al campo sono
piene di scene scolpite raffiguranti sacrifici, dove
dalle teste decapitate delle vittime fuoriescono rivoli
di sangue che si trasformano in teste di serpente, e
parlando a bassa voce da unestremità
allaltra, a causa di un singolare fenomeno
acustico, è possibile udire chiaramente le parole. Il
campo che stiamo visitando, è solo uno degli otto
presenti a Chichén Itzà, e questo credo che possa dirla
lunga sullossessione che i Maya provassero per
questo gioco.
Mentre passeggiamo tra gli
scavi, il tempo che fino a questo punto del nostro
viaggio è stato più che generoso con noi (considerando
che Agosto in Messico non è proprio la stagione più
indicata), si ricorda di mandar giù un pò d'acqua, che
ci costringe a ripararci sotto alcune rovine, in
compagnia di alcuni bambini di origine Maya. Questi,
assieme alle proprie madri, vendono per pochi pesos
oggetti dartigianato, frutta, e bibite, all'interno
del vasto complesso archeologico. Fa riflettere il fatto
che questi bambini, per la maggior parte scalzi e mal
vestiti, siano i diretti discendenti di coloro che con
grandioso ingegno architettonico, edificarono secoli fa
questi edifici che attraggono ogni anno migliaia e
migliaia di visitatori da ogni parte del mondo. Comunque
la pioggia dura meno del previsto, consentendoci di
ammirare in pieno le principali meraviglie del posto,
come il tempio dell'uomo dalla barba, nel quale è
presente un bassorilievo che raffigura chiaramente un
uomo barbuto (che riporta alla mente le numerose leggende
circa luomo venuto dal mare, adorato da molte
civiltà mesoamericane),
lo Tzompantli, un
tempio di pietra nei quali sono scolpiti dei teschi umani
e la Piattaforma dei giaguari e delle aquile,
dove sono raffigurati questi animali che si accaniscono
su dei corpi umani. Da qui imbocchiamo una stradina che
ci conduce direttamente al Sacro Cenote, un
largo pozzo profondo più di trenta metri, dove sono
stati rinvenuti scheletri di donne, uomini e bambini,
probabilmente sacrificati alle terribili ire dei
sanguinosi dei locali. Nelle viscere del
cenote sono stati ritrovati anche vari tesori
doro e di giada, alcuni dei quali è stato
dimostrato con certezza che provenissero da regioni molto
remote. Sulla via del ritorno, poco prima di raggiungere
la piazza principale del sito archeologico,
troviamo un banchetto di un ragazzo che espone bei pezzi
di artigianato locale, il quale farà la felicità di mia
moglie, che riprenderà il suo cammino con appeso al
collo uno splendido medaglione in argento, sul quale è
stato finemente inciso il calendario Maya su entrambi i
lati. Chichén Itzà è talmente vasta (circa dieci
chilometri quadrati), che per visitarla tutta in maniera
adeguata, credo occorrano almeno tre o quattro giorni
pieni, e non riesco a spiegarmi, cosa poi traggano di
positivo quelle persone (provenienti per la maggior parte
da Cancun e Cozumel), che con un'escursione di un paio
d'ore visitano il sito, affollandolo tra l'altro nelle
ore centrali della giornata. All'orario di chiusura,
mentre la città si sta colorando del rosso del tramonto,
rimanendo praticamente deserta, noi ci rifugiamo nel
nostro Hotel, immerso nelladiacente foresta che
circonda Chichén Itzà, facendoci un superbo bagno in
piscina e ritornando alle rovine intorno alle sette,
quando viene effettuato uno spettacolo di luci e suoni
per i pochi turisti che soggiornano sul posto.
Considerato inoltre che il povero villaggio di Piste
nelle vicinanze, offre ben poco, decidiamo di cenare con
una buona bistecca alla parrilla con contorno di fagioli
fritti nel nostro Hotel, che in passato è stato tra
l'altro, tradizionale Hacienda messicana, consolato degli
Stati Uniti d'America, nonché abitazione degli
archeologi, che per primi scoprirono Chichén Itzà.
Mentre la foresta circostante comincia ad animarsi di
misteriosi rumori, che giungono sino al nostro tavolo, ci
accingiamo ad addormentarci nella città che ha ospitato
una delle più importanti e misteriose civiltà di tutte
i tempi: i Maya. Il mattino seguente, dopo un'abbondante
ed ottima colazione, rientriamo alle rovine per
completare, seppur sommariamente la visita, facendoci tra
l'altro intagliare per pochi pesos, una statuetta in
legno raffigurante Yum-Kaax, il dio Maya del mais, da un
giovane ed abile indio. Siamo praticamente soli, e
ampiamente soddisfatti della giusta scelta di aver
dormito nelle vicinanze. Riscaliamo in completa
solitudine la piramide di Kukulcan,
dopodiché imbocchiamo un
piccolo sentiero che conduce dapprima ad una fatiscente
piramide chiamata ossario, allinterno
della quale furono trovati i resti di quello che fu
presumibilmente un sacerdote, ed in seguito, dopo aver
superato altre piccole rovine semisommerse dalla
vegetazione, raggiungiamo El Caracol,
losservatorio di due piani che ricorda nella forma
circolare una chiocciola. Ci sono diverse finestre
orientate nella direzione dei punti cardinali,
praticamente a dimostrazione che le stesse venivano usate
degli abili astronomi Maya che, probabilmente al fine di
conoscere con precisione i periodi della semina, ed
ingraziarsi a dovere i propri dei allo scopo di favorire
le stagioni e propiziare dei buoni raccolti, seppero
elaborare negli anni il loro praticamente perfetto
calendario di 365 giorni.
In seguito rientriamo in hotel,
dopodiché, preparati i nostri bagagli, ci dirigiamo in
taxi alla stazione degli autobus di Piste, distante un
paio di chilometri. La nostra prossima destinazione,
sarebbe dovuta essere la cittadina di Playa del Carmen,
sul caribe messicano, ma il giorno precedente abbiamo
verificato che non ci sono autobus in partenza da Piste
per tale località, ed abbiamo quindi deciso di prendere
l'autobus delle undici con destino Cancun, al fine di non rischiare di
non trovar posto sugli autobus "de paso"
diretti a Playa del Carmen. In circa tre ore di viaggio,
giungiamo in quella che al giorno d'oggi, è la località
turistica più famosa dell'intero Messico. Dalla stazione
degli autobus, raggiungiamo in taxi dopo un'estenuante
contrattazione l'Hotel El Pueblito, situato quasi alla
fine dei venti chilometri della bianchissima e sottile
striscia di sabbia sul Mar dei Caraibi, che costituisce
la "zona hotelera" di Cancun. Ci è stata
riservata telefonicamente una camera a buon mercato, da
un impiegato dell'Hotel Hacienda Chichen, il quale è
riuscito a trovarla solo dopo aver effettuato vari
tentativi , considerato che Cancun non si
contraddistingue certo per la sua economicità. Per
fortuna l'hotel si dimostra ottimo, con personale
simpatico ed accogliente e con una buona spiaggia sul
turchese Mar dei Caraibi, che qui sembra particolarmente
bello. Trascorriamo un pomeriggio da sogno, godendoci il
bellissimo mare trasparente, dalle tonalità impossibili
da descrivere, leggermente mosso, ed usufruendo in pieno
di tutte le comodità offerte dall'Hotel, come il bar
situato proprio dentro la bella piscina, tra l'altro
piena zeppa di americani che si divertono come bambini.
Intorno alle diciotto, dopo una
gradevole Pina Colada, prendiamo un minibus
per andare a visitare i giganteschi centri commerciali di
Cancun, dove lo shopping ed i "born in the
U.S.A." la fanno solennemente da padroni. Qui,
incredibilmente, troviamo anche dei commessi che sembrano
non capire (o non vogliono) lo spagnolo, chiedendoci nel
loro inglese messicaneggiante: "Do you
not speak english"? E' il rovescio della medaglia,
l'altra faccia del nostro viaggio. Qui gli sbiaditi
ideali non contano, qui tutto è in funzione del
fantomatico..... dio dollaro. Ceniamo in un
caratteristico ristorantino frequentato prevalentemente
da messicani, in Avenida Cobà nella vecchia Cancun,
chiamato "El Tacolote", dove gustiamo una
faraonica parillata mista di carne, riuscendo
tra l'altro ad assaggiare la fatidica carne "al
pastor", che immancabile nei localini di Merida,
aveva stuzzicato la nostra curiosità. La carne "al
pastor", consiste in deliziose sottili striscie di
carne di color rosso fuoco, unite l'un l'altra in un
enorme cono posizionato ad arrostire su uno spiedo
verticale, la quale viene usata dai locali, soprattutto
come ripieno per i tacos. Dopo questa cena, che avrebbe
sfamato anche un leone, compriamo dei dolci in un
supermarket, dopodiché in una ventina di minuti,
raggiungiamo il nostro Hotel, con uno dei tanti minibus
che collegano 24 ore su 24, la zona hotelera al centro
della vecchia Cancun. Lindomani, dopo una
goliardica colazione a buffet nel bar adiacente la
piscina dell'hotel, ci godiamo in mattinata per l'ultima
volta il mare di Cancun, prima di partire nel pomeriggio
in autobus, alla volta di Playa del Carmen. Secondo i nostri studi, avremmo dovuto
conoscere la tranquillità del tipico villaggio messicano
del caribe, ma appena scendiamo dall'autobus, alla
stazione di Playa del Carmen ci rendiamo conto che il
turismo di massa, tra l'altro prevalentemente italiano,
ha fatto proprio questo posto. Appena presi i bagagli
nella pancia dellautobus, allinterno della
stazione un giovane messicano ci avverte che tutti gli
Hotel del paese sono pieni, consigliandocene uno (l'unico
disponibile), dove ci avrebbe accompagnato lui stesso.
Noi, malfidati più che mai, lo snobbiamo addentrandoci
sulla strada situata a sinistra dalluscita della
stazione, mettendoci alla ricerca di un alloggio. Dopo
vari tentativi falliti, stanchi per il notevole peso dei
bagagli, ed in preda allo sconforto, decidiamo che mi
sarei mosso da solo, mentre mia moglie mi avrebbe
aspettato seduta su un marciapiede, custodendo i bagagli.
Provo dappertutto, dagli hotel alle semplici cabanas sul
mare, ma è tutto pieno. Italiani ovunque, turisti su
turisti. Trovo solo due sistemazioni: un bungalow sul
mare a 100 dollari americani per notte, ed una squallida
capanna dal tetto in paglia, completamente isolata, il
cui proprietario mi dice che, nel caso avessi accettato,
avrei potuto tranquillamente prenderne possesso anche in
sua assenza, pagandogli all'indomani la
"modica" somma di circa cinquantamilalire.
Mentre ormai sono le diciotto, sconfortato più che mai,
raggiungo velocemente mia moglie e torniamo a testa bassa
dal ragazzo della stazione degli autobus, il quale molto
cortesemente, ci accompagna in questo hotel di sua
conoscenza, che poi non è altro che una casa privata di
una famiglia messicana, quella che qui semplicemente
tutti chiamano "posada". Paghiamo alla
proprietaria l'equivalente in pesos di circa
trentamilalire, per l'uso di due notti di una stanza ben
pulita, con bagno privato e ventilatore a soffitto.
Desterà curiosità il fatto che, mentre la moglie
risulterà molto affabile ed attiva, in questi due giorni
vedremo sempre il marito costantemente spiaccicato sul
divano a guardare la televisione. Che sia una forma del
tanto decantato "machismo" messicano? Una volta
posati i bagagli, andiamo a passeggiare poco prima del
tramonto sulla bianca spiaggia di Playa del Carmen,
giungendo fino al villaggio turistico denominato
"Shangri-La Caribe", dove seduti in riva al
mare, mangiamo un paio di arance portateci dietro da
Cancun. La sera, passeggiando lungo la strada principale,
abbiamo modo di constatare ancor più quanto il paese sia
turistico e quanto massiccia sia la presenza, dei turisti
dello "stivale". Il luogo nel quale cercavamo
la tranquillità, risulta ancor più affollato di alcune
zone della stessa Cancun, così mentre cediamo alla prima
nostalgia culinaria del nostro viaggio, sedendoci ad un
ristorante che inneggia alla nostra italica cucina,
capiamo entrambi di non sentir nostro questo posto e
decidiamo di spostarci verso un'altra meta non
programmata, un altro luogo da scoprire, nel nostro
peregrinare attraverso lo stato dello Yucatan. La
croccante focaccia bianca e le dolciastre linguine ai
frutti di mare, di cui il piatto è letteralmente
cosparso, ci riportano alla mente (come sempre facciamo
dopo un periodo di assenza più o meno lungo
dall'Italia), i nostri piatti favoriti, ed iniziamo così
una sorta di masochista revival, che accresce
drasticamente la nostra fame. A stomaco pieno, dopo aver
pagato un conto veramente irrisorio per ciò che abbiamo
consumato, sazi e soddisfatti anche per un piatto di
pasta che in Italia non mangeremmo mai, effettuiamo una
breve passeggiata, soffermando la nostra attenzione
prevalentemente su qualche negozietto, dove finiamo
inevitabilmente per comprare qualcosa. La notte non
riusciremo praticamente a chiudere occhio, in quanto al
caldo asfissiante, si aggiungeranno le grida di baldoria
provenienti dai locali sulla strada, ed un paio di
ubriachi che tenteranno di intrufolarsi nella nostra
camera, probabilmente confondendola con la loro. Il
mattino seguente di buon'ora, assonnati più che mai,
attraversiamo la deserta strada principale del paese
(desta impressione vederla così), recandoci dopo
colazione alla stazione degli autobus, dove facciamo la
conoscenza della coordinatrice delle attività
turistiche, svolte da quei ragazzi messicani, del quale
fa parte anche il giovane amico che ci ha trovato
l'alloggio. Monica, questo è il suo nome, è un'italiana
venuta qui in vacanza nel mese di Aprile, ed innamoratasi
del posto a tal punto, che ha deciso di viverci aprendovi
un'agenzia di viaggi. Ci racconta che gli affari non le
vanno niente male e ci consiglia che se davvero non ci
piace Playa del Carmen, potremmo recarci ad Akumal,
distante una cinquantina di chilometri, dove tutto è
più tranquillo. La incarichiamo di trovarci un alloggio
per i successivi tre giorni, dopodiché una volta
acquistati i biglietti, ci rechiamo in autobus, a Xaret.
Questa specie di affollatissimo parco divertimenti, è
decisamente bello, anche se forse il biglietto
dingresso, ci sembra esageratamente caro.
Allinterno, tra palme ed altre bellissime piante
tropicali, troviamo dei bar, un ristorante, alcune zone
adibite a picnic, altre adatte per lo snorkeling ed i
bagni, dei resti di una chiesa coloniale e alcune piccole
rovine maya, in quanto sembra che il posto fosse un
importante centro cerimoniale, da dove i maya partissero
per lisola di Cozumel. Cè anche unarea
dove è possibile nuotare a pagamento assieme ai delfini,
ma lattrazione per la quale siamo comunque venuti
qui, è il fiume sotterraneo che sbuca da un cenote, nel
quale ci tuffiamo appositamente muniti di un ridicolo
giubbotto di salvataggio color lilla. Facciamo un mezzora
di ottimo snorkeling, osservando alcune interessanti
formazioni coralline e diverse specie di pesci tropicali.
In serata prendiamo l'autobus per tornare alla nostra
"posada" di Playa del Carmen, dove apprendiamo
che Monica non ha ancora confermato la nostra
prenotazione ad Akumal. Riceviamo rassicurazioni
dall'italiana circa il successo dell'operazione, ma
cominciamo un pò a dubitare delle sue capacità quando
ci informa che avremmo avuto la certezza della conferma
da parte dell'hotel, solo il giorno seguente. Solo la
distanza (un'ora e trenta di autobus ed un chilometro a
piedi dalla strada), ci impedisce di ringraziare la
ragazza, e recarci ad Akumal senza prenotazione. Comunque
Monica ci convince dicendoci che la tariffa che ci ha
proposto, è una tariffa speciale che lei stessa ha
pattuito con l'hotel, il quale applica ai viaggiatori che
bussano alle sue porte, tariffe ben più gonfie,
addirittura impossibili da sostenere per chi come noi ha
ancora diversi giorni di viaggio da effettuare. La notte
sembra un' esatta replica della precedente, ed il mattino
seguente di buon'ora, ci rechiamo alla stazione degli
autobus in cerca di Monica, la quale ci annuncia che è
tutto o.k. Dopo aver quindi preso i bagagli nella
"posada", ed aver salutato Monica e i ragazzi,
prendiamo un affollato autobus diretto a Tulum, il quale
percorre la prima mezz'ora con il sottoscritto in piedi,
cioè fino a quando quasi tutti i passeggeri, scendono al
parco divertimenti della laguna di Xaret. Siamo gli unici
a scendere ad Akumal
e stiamo quasi per
dimenticarci la videocamera nel portapacchi dell'autobus.
Il chilometro percorso a piedi sull'asfalto infuocato,
dalla statale 307 al nostro hotel situato direttamente
sul mare, mi sembrerà un'eternità, ed il peso della
valigia, addirittura insostenibile. All'improvviso, un
cartello indica che siamo giunti ad Akumal, ed una volta
superati un piccolo alimentari e una lavanderia, ci
troviamo già nella casetta adibita a reception del
complesso denominato Akumal Hotel & Villas Maya. Pago
all'impiegato dell'hotel solo la prima notte, in quanto
se il posto non risulterà di nostro gradimento, saremmo
pronti a lasciarlo il mattino seguente, per una nuova
meta, come ormai siamo abituati a fare. Il nostro
bungalow, immerso completamente nel verde, è molto
spazioso e dispone tra l'altro, oltre che dell'aria
condizionata, anche di un salottino completo di divano e
tavolo con sedie. Una volta posati i bagagli, ripetiamo
la solita scena di tutti i nostri viaggi, correndo verso
il mare, un mare ancora una volta pronto a stupirci. Il
Caribe, per effetto della barriera corallina distante
appena un trentina di metri, è di una calma tale che
appare ai nostri occhi increduli come una sorta di lago
dalla forma di mezzaluna. La sorpresa poi più piacevole,
deriva dal fatto che una volta seduti nell'acqua
cristallina ad un paio di metri dalla riva, veniamo
avvicinati da un paio di pescioni colorati, incuranti di
noi e delle nostre grida di stupore. In un attimo capiamo
che siamo giunti in un luogo fuori dal comune, la cui
natura incontaminata, appare appena sfiorata dai pochi
turisti per lo più statunitensi. In realtà, scopriremo
poco dopo che poche centinaia di metri dal nostro
complesso, c'è un enorme villaggio "tutto
compreso" dei Viaggi del Ventaglio, con clientela
esclusivamente italiana. Comunque ciò non prevarica lo
splendido isolamento di cui ancora gode questa
eccezionale località, in quanto per fortuna, gli
abitanti all inclusive di questi tipi di
villaggi, sono di solito abbastanza restii
nel superare i confini del loro turistico mondo dorato.
Trascorriamo tre giorni favolosi ad Akumal, un luogo
fatto apposta per oziare sotto una palma, dove l'unico
inconveniente è rappresentato dalla fame, poiché ci
sono solo un paio di ristoranti che propongono una cucina
di pessima qualità.
La prima volta che decidiamo di
indossare maschera e pinne, allontanandoci qualche decina
di metri dalla riva, restiamo stupefatti dallo scenario
che offrono i fondali di Akumal, la sua barriera
corallina, la svariata fauna marina. Sarà in questi
giorni il nostro passatempo preferito. Trascorreremo ore
ed ore facendo snorkeling nelle tranquille acque turchesi
del Mar dei Caraibi, finchè una mattina spinti dalla
voglia di andare più in profondità, prenoteremo
un'immersione nel diving appartenente al complesso
alberghiero. Dopo una lunga contrattazione sul prezzo
dell'immersione (il portafogli inizia a segnare rosso),
ci allontaniamo dalla bianca riva cosparsa di palme
intorno alle undici del mattino, in compagnia di altre
tre persone e della giovane istruttrice americana che ci
è stata assegnata. Dopo i soliti preliminari, nei quali
la ragazza nel suo yankee ci spiega il da
farsi, ci immergiamo a venti metri di profondità
indossando unicamente una canottiera. Dopo una trentina
di minuti, ed una bellissima visuale della sabbia di
Akumal, la ragazza ci dà il segnale di risalita,
spiegandoci poi in superficie che la corrente ci ha
spinto in una direzione a lei sconosciuta, priva di
interessi subacquei. Abbiamo così guadagnato la
ripetizione dell' immersione nel pomeriggio, ovviamente
gratis. Il tempo quindi di mangiare uno yogurt, ed eccoci
di nuovo intorno alle 13,30 ad assemblare l'ara. Questa
volta il nostro istruttore è un giovane messicano
dall'ingannevole aspetto, ma dalla grande
professionalità, che dimostra sin dalla prime battute.
Controlla l'assemblaggio dei nostri gruppi personalmente
uno ad uno, ed anche in acqua riuscirà a diffondere
nella comitiva una certa sicurezza. I trenta minuti dello
spettacolo al quale assistiamo nei fondali di Akumal,
equivalgono all'essenza stessa della subacquea,
un'immersione che da sola vale il costo di un viaggio. Il
ragazzo ci porta tra l'altro in una serie di grotte
sottomarine, dove in alcune punti occorre passare solo
con la forza delle braccia, al fine di non smuovere la
sabbia pinneggiando. Così passiamo attraverso vari
stretti cunicoli, accerchiati da pesci multicolori di
varie dimensioni, fino a quando il nostro istruttore
facendoci segno di rimanere immobili, non batte il
proprio pugnale sulla bombola, provocando un suono
metallico che, come per magia, fa uscire da una grotta
svariate splendide tartarughe che si dileguano planando
nel blu. Uno spettacolo impareggiabile! Mentre ci
avviciniamo alla riva, un'atmosfera di grande allegria si
è impossessata della barca, una specie di fratellanza
che ci unisce con queste persone di varie nazionalità,
con queste persone che possiedono una propria storia, una
propria vita, una propria fede politica e religiosa, con
queste persone che una volta messo piede a terra,
probabilmente non rivedremo mai più, ma con le quali
abbiamo condiviso un'esperienza indimenticabile, quale
un'immersione subacquea nel mare fatato di Akumal.
Passiamo il nostro terzo
pomeriggio ad Akumal, seduti sotto la nostra palmetta
personale e mentre stiamo riposando, veniamo avvicinati
da un venditore di oggetti in argento. Cerca di
accaparrarsi la nostra simpatia parlandoci della sua
famiglia e sfodera bei sorrisi mostrandoci orgoglioso i
propri denti doro, che qui sembrano proprio andare
di moda. Gli diciamo che siamo entusiasti di Akumal, ma
parlando ci racconta delle possibilità di alloggiare
lontano da tutto a sud delle rovine di Tulum,
incuriosendoci non poco. Ci segna un indirizzo di un suo
amico su un foglio di carta. Mentre il sole sta
adagiandosi lentamente nelle tranquille acque caraibiche,
vediamo la barca uscita in mattinata per la pesca
d'altura far rientro con due enormi barracuda e
nonostante abbiamo già deciso di lasciare il posto,
veniamo assaliti da una grande malinconia, perché in
qualche modo in questi tre giorni ci siamo innamorati di
Akumal. Il 25 Agosto di buon mattino, siamo già sulla
stradale 307 in attesa di un autobus per Tulum, con il peso non irrilevante del
nostro bagaglio, che è andato aumentando di giorno in
giorno nel corso del nostro viaggio nello Yucatan.
Saliamo sul primo autobus, scendendo a Tulum Pueblo sotto
un sole cocente. Ci facciamo indicare dove si trovano le
cabanas di Don Armando, lindirizzo segnatoci dal
venditore ambulante, che raggiungiamo dopo un quarto
dora di cammino su una strada sterrata. Si tratta
di un complesso di piccoli bungalow, localmente chiamati
cabanas, situato su una spiaggia bianchissima su cui
riflette un mare dai colori accecanti. Poiché è
praticamente al gran completo, ci viene assegnata una
cabana fatiscente che
non dispone di bagno e letti, ma
unicamente di semplici amache, al prezzo di circa
quindicimilalire a notte. Ormai però ci siamo e
prendiamo possesso di questa specie di baracca nella
quale lasciamo frettolosamente i nostri bagagli, per
raggiungere le adiacenti rovine di Tulum. Queste rovine,
non hanno niente a che vedere in quanto a grandiosità,
con quelle di Uxmal e Chichen Itza, ma hanno
l'originalità di trovarsi praticamente di fronte al Mar
dei Caraibi, che qui assume delle tonalità altamente
spettacolari.
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In un'ora
circa, visitiamo i punti principali di quello che
si presume sia stato un avamposto Maya, una
specie di fortino adibito a difesa dei territori,
fra cui spicca El Castillo, così
chiamato dalla solita fantasia spagnola. Questa
costruzione a picco sul mare, assieme alla
Piramide di Kukulkan di Chichen Itza,
rappresenta sicuramente limmagine più
propagandata dello Yucatan, la tipica
cartolina da spedire agli amici
invidiosi. Quando il sole dei tropici sta ormai
sfiancandoci, decidiamo che è giunta l'ora di
tuffarci in questo mare da sogno. Tulum è uno di
quei posti che mette d'accordo tutti, sia quelli
che prediligono una vacanza culturale, sia gli
amanti della tintarella e del mare, che qui è di
una bellezza unica. Tulum, ovvero due realtà al
prezzo di una. Quale prezzo? Ovviamente quello
del biglietto di ingresso alle rovine.
Trascorriamo tutto il giorno sulla spiaggetta
sottostante le rovine, con lo sguardo perso a
metà sui riflessi azzurro-verdi dell'acqua
marina, ed a metà sulle sovrastanti ed imponenti
rovine, appartenute nientemeno che ai misteriosi
Maya. Questi sono quei momenti nella vita nei
quali un uomo dimentica il proprio passato, la
propria condizione, i propri affetti, sono quei
momenti in cui ci sembra sempre di esser vissuti
qui, quei momenti nei quali ci dimentichiamo di
avere una casa, in cui si assapora il sottile
piacere del girovago, ovvero colui che ogni
giorno scopre un posto nuovo, colui che è libero
nello spirito. |
Rientriamo poco prima del
tramonto alle cabanas di Don Armando, dove ci attende una
bella doccia con acqua fredda e dove prendiamo possesso
di un paio di candele, poiché qui non cè
elettricità e noi non abbiamo una torcia. La sera a cena
facciamo conoscenza di Bryan e Cindy, due americani sulla
cinquantina di Chicago. Sono molto cordiali e simpatici e
ci raccontano un po del loro viaggio e della
passione che li accomuna per la subacquea. Lei, che fa di
cognome Giannino, è di origine pugliese e parla un
discreto italiano, che ci aiuterà meglio a capire il
marito quando parlerà nel suo veloce americano. Bryan è
un omone alto quasi due metri, dai biondi capelli
raccolti in unenorme treccia. Ha una risata
fragorosa e sprizza energia da tutti i pori. Dispongono
di una macchina presa a noleggio allaeroporto di
Cancun e ci invitano ad andare con loro il giorno
seguente per una visita alla riserva di Sian Kaan. Con qualche birra di troppo ci
corichiamo nella nostra cabana, dietro la cui porta
chiusa alla meglio, abbiamo adagiato il nostro borsone.
Passeremo una notte insonne, tra afa insopportabile, la
scomodità delle amache alle quali non siamo abituati e
le zanzare che non ci daranno tregua per un istante.
Allindomani partiamo con i due americani imboccando
la strada chiamata Boca Paila Road, dapprima asfaltata
per un breve tratto iniziale, e poi sconnessa e piena di
buche, fino a giungere nellomonimo paese, che
superiamo per giungere a El Rancho Retiro, una splendida
spiaggia disabitata cosparsa letteralmente da palme.
Sembra un sogno, tanto che umoristicamente ci diamo
qualche pizzicotto per svegliarci. Siamo praticamente in
piena riserva Sian Kaan, una zona protetta, di
circa 528 mila ettari. I nostri amici yankee avevano
previsto tutto e troviamo ad attenderci una piccola barca
che ci conduce a fare un giro nelle grande laguna dalle
basse acque posta alle spalle della spiaggia, chiamata
Chunyaxche. Tra zanzare fameliche, che sembrano
completamente indifferenti alle numerose spruzzate di
autan a cui ci siamo sottoposti, e qualche altro
sconosciuto insetto che sibila minaccioso sulle nostre
teste, riusciamo a vedere numerosi fenicotteri e altri
uccelli abbastanza inconsueti ai nostri occhi. Ci viene
spiegato che la riserva annovera in totale qualcosa come
trecento specie diverse di uccelli, oltre ad altri
animali rari come gli alligatori, che a quanto ci dicono,
abitano anche la laguna dove ci troviamo, ma degli stessi
non vediamo nessuna traccia. Il nostro giro continua in
mare, attraverso la visita non facile di alcune grotte,
nella cui limpida acqua sottostante ci tuffiamo per un
bagno rigeneratore fra pesci colorati ed aragoste, che
però per legge non si possono prendere. Il ragazzo che
conduce la barchetta illumina con una potente torcia le
pareti rocciose, sulle quali notiamo distintamente delle
incisioni che ci dice risalire nientemeno che ai Maya. Mi
rifiuto di crederci forse offendendolo, fino a quando
Bryan, sulla via del ritorno non mi mostrerà un suo
libro che parla delle stesse. Facciamo una tirata fino a
Tulum Pueblo, dove gli americani fanno rifornimento di
benzina che mi offro di pagare, considerata la cortesia
che ci hanno fatto. Bryan dapprima non voleva, ma poi
dopo le nostre insistenze accetta, a patto che
allindomani li seguiamo. Ci comunica che lasceranno
le cabanas di Don Armando, per spingersi ancora a sud,
praticamente ai confini con il Belize, in un piccolo
complesso turistico nel quale sono già stati, situato
nella penisola di Xcalak, della quale abbiamo sentito un
gran bene dagli istruttori del diving di Akumal. Faremo
delle immersioni fantastiche ci dicono. Il solo pensiero
ci stuzzica terribilmente, ma non rientra nei nostri
programmi, in quanto vorremmo trascorrere i giorni
rimanenti sullisola di Cozumel e poi nonostante
siano così gentili, sappiamo ben poco dei due. La sera
dopo aver mangiato uno squisito huachinango a la
veracruzana (una specie di spigola cotta in una salsa
piccante comprendente pomodori e cipolle), ci sediamo
comodamente davanti a qualche bicchierino di tequila.
Bryan e Cindy insistono. Vedrete, non ve ne pentirete ci
dicono, e così in preda alleuforia alcolica, tra
un brindisi e laltro, forse imprudentemente
accettiamo.
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Dopo
unennesima notte insonne, il 27 di Agosto
eccoci di nuovo in macchina sulla statale 307
assieme ai due americani. Costeggiamo nuovamente
la riserva Sian Kaan spingendoci verso
linterno, sulla strada che improvvisamente
diventa piuttosto spoglia e sui cui lati notiamo
decine di piccoli allevamenti. Dopo aver superato
la cittadina di Felipe Carrillo Puerto,
continuiamo la nostra marcia fino alla località
di Limones, poco dopo della quale imbocchiamo una
strada in direzione del mare. Lungo il percorso
attraversiamo varie paludi e notiamo nuovamente
molte varietà di uccelli, fino a quando il
paesaggio inizia a cambiare di nuovo, segno che
stiamo per raggiungere il mare. Giunti nella
località di Majahual, voltiamo a destra in
ununica strada non asfaltata che costeggia
uno spettacolare Mar dei Carabi. Candide spiagge
solitarie, file interminabili di palme da cocco,
barchette di pescatori, miriadi di uccelli in
volo. Questo è il paesaggio a cui assistiamo
percorrendo in solitudine circa sessanta
chilometri su questa strada. Abbiamo da poco
superato mezzogiorno, quando nella località di
Xcalak, raggiungiamo il Costa de Cocos Resort, un
piacevole complesso turistico costituito da
comodi bungalow costruiti su una spiaggia da
cartolina. I nostri due amici hanno riservato il
loro bungalow e purtroppo per noi, sembrano
esserci delle serie difficoltà in quanto è
tutto pieno. Malediciamo la nostra imprudenza e
siamo soggetti alle decisioni di una coppia
messicana, che avrebbe dovuto liberare
lunico bungalow disponibile a mezzogiorno,
e della quale non cè traccia nelle
vicinanze. Dipende tutto da loro. |
Ci sediamo sconsolati e stanchi
ad attenderli sorseggiando lennesimo margarita,
mentre rientrano i sub dalle immersioni mattutine e
chiediamo loro cosa hanno visto. Aumenta il nostro
desiderio di fermarci in questo posto fatato, anche
perché non credo che muoverci da Xcalac sia poi così
facile, non disponendo di un nostro mezzo di trasporto.
Dopo una mezzora di nervosa attesa arrivano i due
giovani messicani pieni di pacchetti, scusandosi con il
personale del minuscolo resort, al quale comunicano per
nostra fortuna che lasceranno il bungalow. Anche stavolta
è fatta e in questo viaggio la sorte sembra decisamente
dalla nostra parte. Siamo euforici e presi da una strana
sensazione di scoprire tutto ciò che è inaspettato, non
preventivato, casuale. Di colpo ritroviamo le energie.
Non perdiamo tempo e dopo aver sistemato i bagagli nel
bungalow che paghiamo circa quaranta dollari americani
per notte, armati di pinne, maschere e boccagli, partiamo
con i due dinamici americani per un giro in barca. In
poco tempo raggiungiamo delle bellissime formazioni
coralline ricche di fauna marina, dove trascorreremo in
pratica lintero pomeriggio. La sera ceniamo assieme
a Bryan e Cindy nei pochi tavoli del Costa de Cocos,
assaggiando una sublime sopa de lima, cioè un brodo di
tacchino nel quale galleggiano piccoli pezzi di carne e
tortillas e nel quale è stata aggiunta una sostanziosa
spremuta di limetta, a cui facciamo seguire delle
freschissime aragoste. Un posto davvero speciale questa
Xcalak, oserei dire quasi romantico. Confesso che poche
volte mi sono sentito così entusiasta, soprattutto per
il fatto che non pensavamo affatto di giungere fin qui e
che la nostra inseparabile Lonely Planet non menziona
affatto il posto. Questa è la località dove si
potrebbero veramente far perdere le proprie tracce. Siamo
fuori dal mondo, in un luogo dimenticato, con un giungla
incredibile così vicina a noi, la quale chissà cosa
nasconde, in fondo
. siamo nella terra dei maya. Ma
ci troviamo anche a pochissima distanza dal Belize
(Ambergris Caye è quasi attaccata alla penisola di
Xcalak), ed in preda ad una strana sensazione, inizio a
fantasticare. Così chiedo al personale del piccolo
resort se esistono delle possibilità di andarci via
mare, e qualcuno mi dice che qualche pescatore locale
potrebbe condurci su qualche cayos disabitato al largo,
ma non sulle isole principali. Bryan afferma che il
periodo è estremamente difficile, in quanto ci sono da
anni dei disaccordi tra gli stati riguardo i confini e
potremmo incorrere in qualche serio guaio. Sembra
addirittura che periodicamente, negli anni passati, ci
siano state delle scaramucce tra gli stati del Belize ed
il Guatemala, che ne rivendicava addirittura
lannessione. Una vera e propria guerra tra poveri.
Bryan e Cindy si fermeranno a Xcalac lintera
settimana, lultima del loro viaggio, ma con la
gentilezza che lo contraddistingue, Bryan si dice
disposto ad accompagnarci fino a Chetumal, qualora
intendessimo recarci in Belize e mi presta la sua guida
per leggere qualcosa di interessante sul paese.
Trascorrerò qualche ora leggendo prima di addormentarmi.
Il giorno seguente di buon mattino ci imbarchiamo tutti e
quattro su El Gavilan, limbarcazione del diving
center. La nostra destinazione è il Banco Chinchorro,
situato circa 30 chilometri al largo, che raggiungiamo in
poco più di unora. Il Banco Chinchorro è un
grandioso ed esteso complesso corallino situato in
prossimità della penisola di Xcalac. Ancorata la barca,
ci tuffiamo in acqua, dalla quale traspaiono chiaramente
bellissime formazioni di corallo nero e dalla quale
spunta la prua di un relitto. Sgonfiamo il gav e
scendiamo lentamente in queste acque dalla visibilità
notevole. Veniamo accolti da ingenti branchi di enormi
pesci angelo i quali formano una specie di barriera che
perforiamo pinneggiando a circa dieci metri di
profondità. Listruttore ci conduce tra una serie
di articolate foreste di coralli, una sorta di
fragilissimo labirinto creato dalla natura, fino a quando
scende ancora di livello, penetrando di fatto nel
relitto. Lo seguiamo abbastanza intimoriti, ma prendiamo
fiducia anche vedendo Bryan, il quale dimostra una certa
dimestichezza. Allinterno di questo barcone
troviamo dei veri e propri branchi di enormi e
impressionanti cernie che, con molta probabilità, hanno
fatto del relitto la loro casa. Facciamo un giretto
allinterno dello spoglio relitto praticamente
irriconoscibile seguendo listruttore, per poi
uscire dalla parte opposta a circa ventitre metri di
profondità, dove veniamo gelati dalla spaventosa visione
di alcuni enormi barracuda. Dopo circa quaranta minuti
risaliamo in superficie ancora una volta in preda
allentusiasmo. Sulla barca ci guardiamo
soddisfatti, mentre il cielo si sta annuvolando. Nel
viaggio di ritorno e per tutto il pomeriggio, prendiamo
la prima consistente pioggia del nostro viaggio e questo
è di cattivo auspicio, in quanto siamo praticamente
attaccati al Belize, spesso devastato dagli uragani in
questo periodo. Continuo a leggere avidamente la guida di
Bryan nel pomeriggio piovoso, mentre la sabbia perde il
suo color borotalco, ed i granchi giocano a nascondino.
Così scopro che il Belize (ex Honduras britannico) del
quale sapevo poco e niente, è indipendente
dallInghilterra solo dal 1981, che il paese
annovera una ventina di zone protette che si estendono su
circa 500.000 ettari, che circa la metà di questo
territorio non più grande di una nostra regione, è
occupato dalla foresta tropicale dove vivono allo stato
brado moltissimi animali come giaguari, ocelot, tapiri,
alligatori, che ci sono diverse piste sparse sul paese
sulle quali pare atterrino i velivoli dei
narcotrafficanti colombiani, che hanno qui le loro basi
di smistamento verso gli Stati Uniti. Mia moglie, che
fino a quel momento non si era espressa
sullargomento, si avvicina fugando ogni mia
perplessità: mi piacerebbe andare sui cayes del
Belize mi dice.
Il nostro viaggio continua in Belize
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