La polinesia
Francese incarna da secoli il mito del viaggio per
eccellenza. Sono innumerevoli i personaggi più o meno illustri che nel corso degli anni hanno perso la testa per questa terra, ed in tutta onestà, una volta viaggiato in Polinesia Francese, si riesce più facilmente ad intuirne i motivi. Ogni paese visitato mi ha lasciato dentro un qualcosa di indimenticabile, un motivo plausibile per desiderare di ritornare nei posti dove ho vissuto alcuni giorni della mia vita. A tutt'oggi, ritengo che la Polinesia Francese sia il paese più bello a livello paesaggistico, tra quelli in cui ho viaggiato. |
Il mio racconto di viaggio
TAHITI
Quando alle cinque del mattino del 15 Agosto, dopo "appena" 25 ore d'aereo (compresi scali di Parigi e Los Angeles), atterriamo all'aeroporto di Faaa, Papeete è ancora immersa nel buio. Forse saranno gli effetti di un giorno ed una notte trascorsi in volo, forse saranno le dodici ore in meno rispetto all'Italia, ma nel momento in cui saremo accolti in aeroporto da un'orchestrina locale, stenteremo ancora a crederci. Sarà vero? Ebbene si, stiamo per conoscere il mito dei mari del sud. Gli ammutinati del Bounty, Stevenson, Maugham, Gauguin, Marlon Brando, Folco Quilici, e chissà quanti altri hanno perso la testa per questi posti leggendari. Ci trasferiamo all'hotel Tiare Tahiti, una recente costruzione felicemente posizionata sul Boulevard Pomare, il lungomare di Papeete. Dopo una meritata doccia scendiamo immediatamente e c'informiamo presso la reception riguardo alle possibilità di effettuare un tour dell'isola di Tahiti, poiché qui resteremo solo un giorno. In caso d'esito negativo, abbiamo già pensato di noleggiare un'automobile. Ci comunicano che è previsto un tour con partenza dall'hotel alle 10 e ritorno alle 17 circa. Costo 4000 franchi del pacifico a testa (non certo economico) . Accettiamo. Intorno alle sette usciamo in strada, ed iniziamo a passeggiare sul lungomare, dove ammiriamo diversi yacht attraccati e bellissime barche a vela. E' una splendida giornata e s'intravede facilmente all'orizzonte la sagoma della mitica Moorea, che visiteremo tra qualche giorno. Il colpo d' occhio è magnifico e con l'entusiasmo alle stelle, ci rechiamo al mercato centrale, distante appena tre isolati dal nostro albergo. Circolano quest' oggi solo poche automobili, ma molti truck, i tipici autobus tahitiani, strapieni fino all'inverosimile di persone che si recano al mercato, provenienti da ogni parte dell'isola. Ci colpisce particolarmente la visione di qualche barbone addormentato ai margini delle strade, e di alcuni travestiti che stazionano all'entrata di un locale equivoco all'imbocco della Rue Colette. Ma siamo veramente in Polinesia Francese?
Il mercato centrale ripaga immediatamente le nostre perplessità. Bello, bellissimo, specialmente il reparto ittico. Con molta cordialità ci indicano le varie specie in vendita e siamo un po' impressionati nel vedere sul banco i pesci pappagallo, fedeli compagni di tanti felici momenti di snorkeling in diversi mari nel mondo.
Dopo un giretto all'interno, tra venditrici di cappelli in paglia, frutta tropicale e cibo cinese, usciamo nella deserta Papeete, che nei giorni di festa si presenta agli occhi del turista come un vero e proprio mortorio e ci sediamo ad un tavolino de "Les 3 brasseurs", un localino molto grazioso situato sul lungomare, all'altezza del terminal dei traghetti per Moorea, dove facciamo colazione con degli squisiti croissant appena sfornati Con lo stomaco più pieno, ma sempre abbastanza frastornati dal lungo viaggio e praticamente semiaddormentati, iniziamo in senso orario il tour dell'isola, che si rivela decisamente incantevole, anche se scarseggiano le spiagge dove bagnarsi tranquillamente. Infatti, l'isola che conta addirittura una trentina di pass, in diversi tratti non è protetta dalla barriera corallina, con la relativa presenza di immense onde oceaniche, ed il costante pericolo degli squali, che in questa parte di mondo abbondano notevolmente. Tocchiamo i classici punti turistici di Tahiti Nui, il principale dei due anelli che, assieme a Tahiti Iti, costituiscono l'isola.
Percorreremo in totale circa centodieci chilometri. Visitiamo prima la strana tomba in corallo di Pomare V, l'ultimo sovrano della dinastia Pomare, salita al potere grazie agli ammutinati del Bounty, poi la Baia di Matavai , dove Samuel Wallis, colui al quale spetta il merito di esser stato il primo europeo a sbarcare a Tahiti nel 1767, gettò l'ancora della Dolphin, che fu rapidamente circondata da circa cinquecento piroghe tahitiane, con qualche migliaia di uomini e donne a bordo. Questa spettacolare baia ha rivestito un ruolo importante nella storia di Tahiti, perché rimase per anni il punto di approdo delle navi europee, fino agli inizi dell'ottocento, quando Papeete iniziò sostanzialmente ad espandersi. Hanno approdato le loro navi a Matavai anche altri personaggi illustri della storia della navigazione, quali Cook e Bligh. Dopo l'alternarsi di splendide spiagge nere orlate da palme da cocco, ad altrettanti magnifici panorami offerti dalla folta vegetazione dell'interno, raggiungiamo "le Trou du souffleur", un cunicolo nella roccia, situato in prossimità di una curva posta a pochi metri sul livello del mare, nel quale le potenti onde oceaniche, dopo essersi infrante sopra gli scogli sottostanti, fanno penetrare l'acqua che, dopo esser salita rapidamente, riesce all'aperto provocando schizzi e getti di vapore molto spettacolari. Altro punto d'interesse che visitiamo sono le cascate Faarumai, delle quali vediamo però solo la prima delle tre, che raggiungiamo dopo una breve passeggiata in un boschetto. Troviamo la cascata ed il laghetto sottostante piuttosto asciutti, considerato che ci troviamo nella stagione secca, ma a quanto sostiene la simpatica guida che ci accompagna, nei nostri mesi invernali, corrispondenti alla loro stagione caldo-umida, ci sono decine e decine di persone che vi si bagnano, facendo di questo luogo, uno dei preferiti dai tahitiani per effettuare dei picnic. Ancora l'alternarsi di spiagge, surfisti, piccoli villaggi, palme. Il nostro giro continua in direzione del museo Gauguin, poco prima del quale abbiamo letto che all'altezza del PK 50, c'è qualcosa di molto interessante e chiediamo all'autista la cortesia di fermarsi cinque minuti. Il "Fare Nana'o" è la più originale sistemazione alberghiera da noi vista in Polinesia. I Fare (tipiche capanne polinesiane) sul mare sono spettacolari e quello sull'albero è un sogno. Scambiamo quattro chiacchiere con la simpatica proprietaria francese, che ci mostra orgogliosamente qualche alloggio e ci consegna un depliant nel caso volessimo in futuro soggiornarvi. Arriviamo quindi al museo Gauguin, a mio avviso uno dei migliori pittori francesi in assoluto, che morì dopo una vita avventurosa, pieno di debiti nel 1903 alle isole marchesi, dove si era rifugiato deluso da Tahiti, sulla quale approdò per la prima volta nel 1891 e visse diversi anni. E' abbastanza nota la relazione che il funzionario francese delle Marchesi redasse alla sua morte, scrivendo di come il passivo del defunto avesse poche possibilità di essere coperto, in quanto i pochi quadri di quello che definì un "pittore decadente", non li avrebbe certamente comprati nessuno. Ora i suoi dipinti appaiono anche sulle etichette delle acque minerali della Polinesia Francese, ed bel il museo a lui dedicato, che espone diversi oggetti legati alla sua vita, ma pochissimi dipinti originali e tantissime copie, è uno dei posti più visitati di Tahiti dalle numerose comitive di giapponesi e statunitensi, con relativi lucrosi introiti per le autorità di questo territorio francese d'oltremare. Dopo un giretto all'interno, ed una classica foto turistica in compagnia di uno dei tre autentici "Tiki" (antiche divinità polinesiane) che staziona maestoso nel giardino del museo, ci rechiamo a pranzo nel vicino ristorante dove mangiamo un paio di sandwich di pollo a testa e proviamo la locale birra Hinano. Il conto? Sulle sessantamilalire! Evviva la Polinesia Francese! Nel pomeriggio, in conclusione del nostro tour, visitiamo quello che per me è il più bel posto visto a Tahiti, ovvero i bagni di Vaima. In questo laghetto dalle acque trasparenti, posto alle spalle della strada costiera, intere famiglie trascorrono serenamente questo pomeriggio di festa fra canti e giochi. All'ingresso stazionano diversi banchetti di venditori di noci di cocco e di cibo in generale. In preda all'euforia, ci bagniamo in queste limpidissime acque gelide, tra bambini festanti ed un paio di bellissime ragazze, con il sottofondo delle classiche musiche polinesiane strimpellate da alcuni musicisti improvvisati. Ci guardiamo intorno e ci sembra proprio di essere finiti in un quadro di Gauguin.
Un posto autentico, poco distante dalle contraddizioni di Papeete che, una volta ripresa la nostra marcia, raggiungiamo poco prima delle 17, dopo aver superato un enorme centro commerciale della catena "Continente", proprio qui a Tahiti, che è stata, o forse è tutt'ora, la leggendaria isola per antonomasia dei mari del sud. Non riposiamo ormai da molte ore, ed allora una volta rientrati in albergo, decidiamo di addormentarci un poco. Sistemo la sveglia alle 20, in quanto vorremmo recarci a cenare alle "Roulottes" che stazionano sul piazzale adiacente il terminale dei traghetti per Moorea e che rappresentano il tipico ritrovo serale degli abitanti di Papeete, dove possono mangiare a prezzi modici, scegliendo tra vari tipi di cucina. Ci è sempre piaciuto mischiarci tra la gente del posto nel corso dei nostri viaggi e quale occasione migliore, di un posto in cui cenare assieme a loro? Come ogni fatidico lunedì mattina, quando mi alzo solitamente dopo cinque minuti dal fastidioso suono della sveglia, guardo assonnato l'orologio, che però non segna come credevo le venti e cinque minuti, ma le due del mattino. La stanchezza ed il fuso orario, hanno trasformato i cinque minuti in sei ore. Accendo in fretta la luce, guardo mia moglie che dorme profondamente, spengo la luce, addio "Roulottes" e...buonanotte Papeete !!!
RANGIROA
Alle sette del mattino del giorno seguente, siamo già seduti ad un tavolino sul lungomare di Papeete a far colazione in uno dei tanti bar all'aperto, più o meno affollati. Oggi però, sebbene sia presto, la città è molto trafficata, pulsante di vita, direi quasi caotica e si respira anche un'aria densa di smog, a noi purtroppo familiare. Ma tutto ciò ci interessa relativamente, poiché abbiamo già visitato Tahiti, che per la verità mi è piaciuta molto, e stamattina lasceremo l'arcipelago delle "Isole della Società", per partire alla volta dell'arcipelago delle Tuamotu, tristemente famoso per gli esperimenti nucleari operati dai francesi qualche anno or sono. La nostra meta è Rangiroa, che raggiungiamo in un'ora e trenta minuti di volo, dopo esserci entusiasmati per le splendide vedute aeree di Tetiaroa, l'isola di Marlon Brando, e della vicina Tikehau. Prima di atterrare, notiamo distintamente le pass di Avatoru e Tiputa, che collegano il blu intenso dell'Oceano Pacifico con l'azzurro-verde dell'immensa laguna di Rangiroa. Uno spettacolo! All'aeroporto ci attende un ragazzo, che ci trasporta in hotel stipandoci nel retro di un pickup assieme ai nostri bagagli. Il Rangiroa Beach Club, dove alloggeremo nei prossimi quattro giorni è molto gradevole (il gestore un pò meno), ed il mare, qui ha l'aspetto di una lastra di cristallo. Dopo aver sistemato i bagagli nel bungalow assegnatoci, situato praticamente in riva alla laguna, su una bellissima spiaggia costituita da coralli morti, ci dedichiamo immediatamente allo snorkeling, che sarà per la verità un pò deludente. In seguito prenotiamo presso la reception l'escursione per il giorno seguente alla "Laguna Blu", ed in serata raggiungiamo in bicicletta Avatoru, dove in un supermarket facciamo rifornimento di acqua minerale. Durante la fila alla cassa, notiamo come i cestini dei polinesiani siano pieni di enormi barattoli di maionese, ketchup, ed altri alimenti ipercalorici, il che giustifica ampiamente la loro stazza tutt'altro che esile. Il panorama della pass di Avatoru al tramonto, osservata dal piazzale adiacente la chiesetta cattolica, da solo vale il viaggio a Rangiroa. La sera ceniamo in hotel, che proprio per i pochi bungalow di cui dispone ed il conseguente minor numero di ospiti, ci è più congeniale rispetto alle grandi strutture presenti anche qui, in Polinesia Francese. Mentre il pontile illuminato, attrae un nugolo cospicuo di pesci colorati, e la radio diffonde melodiche canzoni polinesiane, assaggiamo il Mahi-Mahi, il grosso pesce che avevamo visto esposto al mercato di Papeete e la cui carne si rivela decisamente saporita. Durante la notte scoppia un violento temporale e lo scenario all'indomani appare mutato. Il mare è molto mosso, il cielo si è completamente oscurato e tutte le escursioni in laguna, purtroppo per noi sono.. soppresse!!! Decidiamo quindi di visitare un po' i dintorni (ci troviamo praticamente nel mezzo di un'unica strada di 10 Km. che separa i minuscoli paesetti di Tiputa e Avatoru situati in prossimità delle omonime pass), ed usciamo a piedi dal Beach Club, incamminandoci questa volta in direzione di Tiputa.
Poiché le distanze spesso nella realtà sono ben altra cosa rispetto alle cartine, iniziamo una pratica che qui a Rangiroa c'è sembrata assolutamente perfetta: l'autostop. Tutti i polinesiani incontrati nel corso del nostro soggiorno, saranno così gentili da caricarci a bordo dei loro pickup, ad un semplice gesto della mano. Raggiungiamo quindi l'hotel Kia Ora, l'unico albergo di standard superiore sull'isola, che è carissimo, ma anche bellissimo (spiaggia compresa), e successivamente la pass di Tiputa, sul cui molo donne e bambini sono intenti a pescare enormi pescioni e molte persone attendono con ansia l'arrivo del postale. Visitiamo la pensione Chez Glorine, di cui ci aveva parlato molto bene un nostro amico, anche con l' intento di mangiar qualcosa, ma non troviamo un solo tavolo disponibile, tanto che la proprietaria ci dice che avremmo dovuto prenotare. In seguito ci sediamo in completa solitudine su una spiaggia costituita da enormi coralli morti, situata proprio vicino all'ingresso delle acque dell'Oceano nella pass e con nostro stupore osserviamo un branco di delfini saltar fuori ripetutamente dalla corrente. Trascorriamo quindi l'intero pomeriggio fermandoci in diversi punti, osservando quasi intimoriti le maestose onde oceaniche dalla parte del Pacifico e sempre avvalendoci dell'autostop. Il mattino seguente finalmente andiamo alla Laguna blu, così chiamata perché una serie di motu (isolotti) disposti a cerchio, creano una piccola laguna dalle calme acque trasparenti, all'interno della laguna di Rangiroa, che per dimensioni (circa 75 Km. per 30) è la seconda del mondo.
Ci accompagna Pier, un francese sulla quarantina che assieme a sua figlia, organizza escursioni a bordo di un piccolo motoscafo. Il tempo è magnifico e lungo il tragitto ci fermiamo ad osservare un'enorme manta che fa capolino fuori dall'acqua. Finalmente la Polinesia, quella che tanto abbiamo sognato. Qui, tutto è stregato. Il paesaggio, il mare cristallino dalle mille tonalità, le palme piegate dal vento, le razze, gli squaletti. Un incanto per la vista e lo spirito depresso dal grigiore di mesi di lavoro. Dall'isolotto sul quale abbiamo attraccato, percorriamo un centinaio di metri a piedi attraverso le trasparenti e basse acque della laguna, in direzione di un altro isolotto sul quale troviamo decine d'esemplari di uccelli.
Effettuiamo il giro del "motu", perdendoci con lo sguardo attraverso l'azzurro intenso delle limpide e calme acque, la rigogliosa vegetazione presente sugli innumerevoli isolotti circostanti la laguna, gli uccelli e qualche timido squaletto che nuota indisturbato vicino ai nostri piedi. Tutt'intorno regna un silenzio irreale.
Di ritorno dall'isola degli uccelli, Pier ci accoglie con un bicchiere di rosè ghiacciato, come aperitivo per un ottimo pranzo a base di riso, pollo e pesce alla griglia, eccellente poisson cru (pesce crudo alla tahitiana), pompelmo.
Con quell'aria da uomo vissuto, ci racconta un po' della sua vita trascorsa in mezza Africa e della decisione di trasferirsi sette anni or sono in Polinesia Francese. Confesso che un po' l'invidio. Poco prima di uscire dalla Laguna Blu, notiamo che il nostro motoscafo è seguito da una scia di squali pinna nera e Pier si ferma, rivelando la sorpresa che teneva in serbo per noi. Tira fuori un secchio pieno di pesci che inizia a gettare in pasto agli squali, i quali rapidamente circondano il motoscafo. Uno spettacolo.
Ne contiamo almeno una ventina, anche di notevoli dimensioni. Il mare si è considerevolmente ingrossato, ed il ritorno fino ad Avatoru sarà a dir poco disastroso. Un'ora e trenta minuti di continui balzi e docce indesiderate. Comunque, l'esperienza è stata a dir poco sensazionale e prenotiamo per il giorno dopo l'escursione alle Sabbie rosa, o in alternativa all'Ile aux recife, altri due punti assai pubblicizzati di quest 'incantevole isola.
All'indomani però, Patrick, l'antipaticissimo responsabile francese del Beach Club, ci comunica che l'escursione alle sabbie rosa non viene effettuata e che quella all'Ile aux recife, nonostante l'avessimo chiaramente indicata come seconda scelta, è "full". Indifferente alle nostre educatissime lamentele, e mostrandosi del tutto inospitale, ci lascia uscire di primo mattino incazzati neri dall'hotel. Sulla strada notiamo un cartello scritto con la vernice, il quale pubblicizza la Pu Nua Excursion di Avatoru, che raggiungiamo dopo cinque minuti, facendoci caricare sul primo furgone di passaggio. Questa specie d'agenzia-pensione, organizza delle escursioni a bordo di un grosso trimarano. Oggi vanno all'Ile aux recife, situata dall' altra parte della laguna, ma sembra non esserci posto, e l'enorme e severo skipper polinesiano, che con svariati viaggi in gommone conduce i passeggeri sul trimarano, ci fa cenno di attendere sulla spiaggia, poiché siamo "rei" di non aver prenotato. Alla fine però, quando ormai stavamo abbandonando ogni speranza, ci da l'okay, ed è fatta. Un altro posto indimenticabile.
Sbarchiamo su uno dei rigogliosissimi motu adiacenti la barriera corallina che separa la laguna di Rangiroa dalla furia dell'Oceano Pacifico.
Qui, i coralli erosi dal mare, appaiono come stranissime formazioni che, emergendo dalle basse acque dell'oceano filtrate attraverso la barriera, creano una serie di numerose piscine naturali. Il colpo d'occhio è magnifico.
Davanti a noi il blu dell'oceano, contornato dal bianco delle sue immense onde che s'infrangono sul reef. Ai nostri lati la vista si perde in lontananza sui molteplici isolotti da cartolina che circondano la laguna, mentre sotto i nostri piedi scorre placidamente un'acqua dalla limpidezza incredibile, nella quale nuotano flemmaticamente piccole razze e qualche squalo baby.
Dopo pranzo ci separiamo per un paio d'ore dai nostri compagni, ed effettuiamo il periplo del nostro isolotto, abbandonandoci in solitudine attraverso paesaggi mozzafiato.
In serata, una volta tornati al Beach Club, decidiamo di cenare nell' adiacente Raira Lagoon, che avevamo notato passeggiando sulla spiaggia. Qui l'atmosfera è piacevole e rilassata. I pochi ospiti (tutti francesi) sembrano conoscersi fra loro e la giovanissima proprietaria francese che gira cordialmente tra i tavoli, ostenta un certo "savoir faire". Dopo cena, ci addormentiamo con il rumore del mare a far da sottofondo alla nostra ultima notte qui, ... nella splendida Rangiroa.
BORA BORA
Oggi con nostro grande rammarico per non esserci immersi nella pass di Tiputa, internazionalmente conosciuta per i suoi spettacolari fondali, lasciamo la meravigliosa Rangiroa e le Tuamotu per tornare alle Isole della Società.
Tutti ci hanno raccomandato vivamente di sistemarci nella fila sinistra dell 'aereo, poiché nel momento in cui si sorvolerà Bora Bora, si avranno le migliori vedute panoramiche. Questo è quanto ci siamo riproposti alle 8,30 del mattino del 20 Agosto, proprio mentre stiamo recandoci in aeroporto per prendere il volo diretto che, in un'ora e dieci minuti, ci condurrà nella "perla del Pacifico".
Non immaginavamo minimamente cosa ci attendesse. Il piccolo aeroporto di Rangiroa è affollato di gente che si dimena, urla, impreca. Per nostra sfortuna, oggi è il giorno scelto dai piloti dell'Air Tahiti per far sciopero. Tutti i voli interni sono stati soppressi e la compagnia polinesiana assicura unicamente saltuari collegamenti con la capitale. Così, anziché partire come da prenotazione alle 09,40 per Bora Bora, ci consegnano le carte d'imbarco di un volo in partenza a mezzogiorno con destinazione Papeete. Sconsolati più che mai, lasciamo l'aeroporto e c' incamminiamo in direzione dell'hotel Kia Ora. Dopo pochi metri veniamo rimorchiati da un furgone e trascorriamo la mattina al bar, sorseggiando nervosamente qualche drink, ed osservando "inaspettatamente" per l'ultima volta, lo splendido mare di Rangiroa. Le lancette hanno da poco superato le 13 quando atterriamo all'aeroporto di Faa, nel quale regna il caos. Decine di persone spaurite, voli cancellati, accenni di rissa, scene d'isterismo. Anche noi abbiamo un serio problema, poiché dobbiamo trovar posto negli unici due voli del pomeriggio per Bora Bora, dei quali non abbiamo la prenotazione e che sembrano al gran completo. Nel primo, in partenza alle 14, non veniamo neppure presi in considerazione. Sul secondo, in partenza alle 16, ci collocano in lista d'attesa, ma le impiegate dell'Air Tahiti ci consigliano vivamente di recarci al porto e prendere l'Ono Ono, il traghetto che in 6-7 ore raggiunge Bora Bora, poiché abbiamo serie probabilità di rimanere a Tahiti. Decidiamo di rischiarcela e restiamo in aeroporto. Dieci minuti prima delle 16, scavalchiamo la caotica fila formatasi al check-in e raggiungiamo l'impiegata che si era trattenuta i nostri vecchi biglietti. Ci dice garbatamente di attendere, ma quando dopo qualche minuto, imbarcherà i bagagli e ci consegnerà le carte d'imbarco, il suo sorriso ci apparirà più bello e radioso della stessa Polinesia. Puntualmente seduti nella fila sinistra del nostro aereo, decolliamo da Tahiti solo alle 17, ma le uniche immagini che riusciremo a vedere dal finestrino, saranno quelle di Raiatea dove faremo scalo, poiché quando atterreremo a Bora Bora sarà ormai. buio pesto.
In ogni caso, la calorosa accoglienza che riceviamo dal personale de "Le Maitai Polynesia", il magnifico albergo dove alloggiamo a Bora Bora, ed una buona cena allietata dalle musiche di un'orchestrina locale, ci faranno parzialmente dimenticare le disavventure di un'intera giornata trascorsa fra voli in aereo, ed interminabili code in aeroporto, nel paradiso turistico per eccellenza: la Polinesia francese. Il mattino seguente, c'imbarchiamo su una piroga a motore per un'escursione nella laguna dell'isola più celebre del Pacifico. Avvicinandosi alla barriera corallina, si gode in lontananza di una splendida veduta di Bora Bora, con il monte Otemanu che spicca imponente su un mare di cristallo. In prossimità del reef, le guide fermano le piroghe disponendole a cerchio, dopodiché stendono una fune e ci fanno scendere nell 'acqua che ci arriva alla cintura. Iniziano quindi a gettare in mare dei pezzetti di pesce e c'impartiscono l'ordine di non superare la fune. Dopo qualche secondo, arrivano in avanscoperta le prime razze, seguite immediatamente da qualche squalo pinna nera, che osserviamo lautamente mangiare da sotto il pelo dell'acqua, ad un paio di metri di distanza. Il tutto, prestando attenzione a schivare i calci e gli spintoni degli altri escursionisti aggrappati alla fune, molti dei quali dimostrano scarsa acquaticità. In seguito, dopo un po' di snorkeling in corrente, approdiamo per il pranzo su uno dei tanti motu che, disposti circolarmente attorno all' isola, formano la famosa laguna di Bora Bora, collegata all'Oceano Pacifico da una sola pass. Qui però manca la magia dei motu selvaggi di Rangiroa. La visione del parasailing in lontananza e le grida delle innumerevoli comitive di turisti, stonano con il paesaggio che indubbiamente è sublime. Nel pomeriggio, dopo aver circumnavigato l'isola, ed esserci bagnati ancora in compagnia delle razze, rientriamo in albergo dal quale usciamo poco dopo, incamminandoci sulla strada principale dell'isola. Dopo aver superato le immense strutture del Moana Beach Parkroyal e del Bora Bora Hotel, raggiungiamo passeggiando la costa ovest, che risaliamo sino all'altezza di uno dei più famosi ristoranti del Pacifico, il Bloody Mary, al cui interno ci dà il benvenuto una signora che parla perfettamente l'italiano. L'atmosfera che si respira in questo locale è certamente piacevole, ma dopo averci cenato, assaggiando tra l'altro anche l'insipida carne di squalo, crediamo che più che per la qualità del cibo, il Bloody Mary sia famoso soprattutto per le celebrità che sono passate di qui, come si può leggere su un cartello ben in vista all' entrata.
Il giorno seguente è Domenica e coincide con la nostra prima settimana di permanenza in Polinesia Francese. Decidiamo di noleggiare due mountain bike per effettuare il giro dell'isola. Alle nove del mattino, quando iniziamo a percorrere il primo dei 32 chilometri della strada che circonda Bora Bora, il sole è già alto nel cielo. Dalla località di Matira, dove è situato il nostro hotel, ci dirigiamo verso il Club Med e la costa orientale. Pedalando lentamente sulla strada ben asfaltata e circondata da altissime palme da cocco, si hanno delle magnifiche vedute dell'isola e dei motu che circondano la laguna, con il panorama che muta ad ogni curva. Un bambino c'indica il sentiero sterrato che conduce al Marae Aehua-tai un antico luogo di culto polinesiano costruito direttamente sul mare in uno scenario da antologia, ed ormai ridotto a poche macerie. Attraversando dei piccoli villaggi, ci colpiscono molto alcune signore vestite a festa con particolari abiti e cappelli bianchi, che notiamo passeggiare mentre si recano alle funzioni domenicali. Dopo varie soste, raggiungiamo nel primo pomeriggio Vaitape, il principale villaggio dell'isola. Essendo oggi Domenica, anche qui troviamo tutto chiuso, esattamente come la scorsa settimana a Papeete. Discendiamo quindi velocemente la costa ovest, fino a giungere intorno alle 14,30 a Matira Point, dove trascorriamo l'intero pomeriggio. Considerata la più bella spiaggia di Bora Bora, Matira Point offre quanto di meglio si possa desiderare in termini di mare e spiaggia, in un ambiente tranquillo e rilassato. Per la nostra ultima sera a Bora Bora, scegliamo di cenare nel ristorante dell'hotel Matira, dove su una veranda in riva al mare, assaggiamo un' improponibile cucina cinese. |
MOOREA
Alle 9,40 del 23 Agosto siamo già sul battello che conduce al Motu Mute, dove è situato l'aeroporto. Il mare che circonda l'isolotto ha dei colori straordinari e nel momento in cui decolliamo, Bora Bora, con un panorama entusiasmante, ci ripaga di quanto abbiamo perso qualche giorno fa. Dopo essersi fermato a Huahine, la quale sembra molto interessante, l'aereo decolla alla volta della nostra ultima tappa in Polinesia Francese: Moorea. Vista dall'alto, la lucertola gialla (questo è il suo nome in polinesiano), si presenta maestosa, ma quando poco dopo percorriamo la sua strada, oltrepassando le bellissime baie di Cook ed Opohunao, incorniciate tra le alte cime seghettate del monte Rotui, Moorea ci appare addirittura irreale. L'hotel Les Tipaniers, situato in località Punta Hauru, è splendido. Felicemente collocato su una magnifica spiaggia bianca lambita da acque cristalline, ed orlata da altissime palme, si trova a poche decine di metri dai motu Fareone e Tiahura, situati in pratica a ridosso della barriera corallina. Lo scenario è quello giusto per abbandonarsi al più completo relax. Il personale dell'hotel eccelle per ospitalità, cortesia e gentilezza, ed inoltre la cucina è veramente squisita. Davvero un gran bel posto.
Trascorriamo i primi due giorni a Moorea, godendoci tranquillamente la bellezza del luogo dove alloggiamo. Infatti, come già detto, il reef e i due piccoli isolotti, distano dalla spiaggia de Les Tipaniers solo poche "pagaiate". Inoltre, a differenza di Rangiroa e Bora Bora, qui le limpide acque della laguna si mantengono sempre estremamente calme.
Ad esser pignoli, anche in questo posto fatato esiste una piccola nota negativa. Difatti a Moorea, come nelle altre isole da noi visitate in questo viaggio, lo snorkeling, ci ha finora deluso. Ma la Polinesia Francese e soprattutto il suo mare, sembrano divertirsi a sorprenderci giorno dopo giorno. Infatti, a differenza di tutti i nostri viaggi precedenti, non ci siamo ancora immersi e ci rechiamo quindi presso l'adiacente dive center, dove troviamo ad attenderci un giovane francese chiamato Christophe Olaizola, il dive master del centro. Parliamo un po' con Christophe, il quale vuol sapere qualcosa circa le nostre esperienze e ci indica i vari punti d'immersione. Ci diamo appuntamento per l'indomani mattina. Come stabilito, alle 8,30 di Mercoledì 25 Agosto siamo già sul pontile dello "Scubapiti", il dive center dell'hotel Les Tipaniers. Circa mezz'ora dopo, accompagnati da un'istruttrice francese, assieme a tre suoi connazionali compartecipanti all'immersione, sgonfiamo il gav nelle acque del punto denominato "Tiki", situato in mare aperto, al di fuori della barriera corallina posta davanti al motu Fareone. La visibilità è notevole e dopo esser scesi di qualche metro, la prima sagoma che notiamo è quella di uno squalo. Ci accorgiamo ben presto che non è l'unico esemplare, poiché qui sotto, pullulano letteralmente. Sbalorditi, ma soprattutto intimoriti da queste inquietanti presenze, iniziamo la nostra passeggiata sottomarina, attraversando banchi di corallo, ed oltrepassando autentici muri costituiti da centinaia di pesci di varie dimensioni e differenti tonalità. Ogni tanto ci guardiamo esterrefatti attraverso le maschere, lanciandoci dei segnali d'ammirazione e stupore. Si tratta dell'ennesimo entusiasmante spettacolo della natura, al quale abbiamo la fortuna di assistere. Il clou lo raggiungiamo però, nel momento in cui l'istruttrice ci fa cenno di disporci sul fondale. Immobili in ginocchio, a venti metri di profondità nel blu dell'Oceano Pacifico, veniamo rapidamente circondati dagli squali. Decine d'esemplari di varie specie iniziano la loro danza intorno a noi. Pinna nera, pinna bianca, squali grigi, enormi squali limone, ed in lontananza, dulcis in fundo, qualche agghiacciante squalo martello. Alcuni, particolarmente grandi e dall'aspetto decisamente insidioso, ci circolano intorno svariate volte, avvicinandosi a meno di un metro di distanza. Un'emozione unica. Un'avventura da lasciarci con il fiato sospeso. Una scarica d'adrenalina pura. Quando due anni fa in Malaysia, mentre facevamo snorkeling, ci trovammo in un paio d'occasioni faccia a faccia per la prima volta con questi magnifici predatori e ci dileguammo rapidamente in preda al panico, non potevamo certo immaginare, che un giorno avremmo trascorso ben cinquanta minuti in loro stretta compagnia. Cinquanta minuti che, per l'enorme abbondanza di grossa fauna marina, squali a parte, hanno rappresentato sicuramente la più bell' immersione da noi effettuata sino ad oggi. Nel pomeriggio, con l'entusiasmo alle stelle, noleggiamo un'automobile per compiere il giro dell'isola.
Questa volta iniziamo il nostro giro in senso orario, lasciando Punta Hauru per dirigerci alla volta del "belvedere", famoso punto panoramico dal quale si gode di una vista straordinaria delle bellissime baie di Cook ed Opohunao. Visitiamo in seguito lo stabilimento della "Jus de Fruit Moorea", dove ovviamente si producono succhi di frutta, prevalentemente d'ananas e nel quale degustiamo ed acquistiamo dei liquori. Dopo aver attraversato il villaggio di Papetoai, e superato l'aeroporto, raggiungiamo la bellissima spiaggia di Teavaro, situata nel versante orientale di Moorea, sulla quale ci fermiamo ad osservare con ammirazione il profilo maestoso dell'isola di Tahiti, ben visibile al di là del Mar della Luna. Superato il villaggio di Vaiare, dove si trova il terminal dei traghetti per Papeete, la strada diventa molto meno trafficata e Moorea, che presenta la più alta concentrazione alberghiera della Polinesia Francese, rivela il suo volto meno turistico. Ci fermiamo quindi nei pressi del Marae Nuurua, antica costruzione sacra polinesiana in macerie, vicino alla quale sorge un campo di calcio, dove è in atto un'avvincente partita del Sud Pacifico. Al distributore della Shell, poco distante dal nostro albergo, facciamo la conoscenza di Roberto, il proprietario italiano originario di Roma, trapiantato a Moorea da ormai diciannove anni. Ci racconta della sua moglie polinesiana, dei suoi due figli, della sua casa posta sul Motu Faraone, ma soprattutto della serenità che ha ritrovato nel paradiso terrestre. Ebbene si, lui vive proprio dove incarnano i sogni di noi turisti occidentali, poiché abita sull'isolotto dove io e mia moglie abbiamo gironzolato in questi giorni, riflettendo soventemente su quanto siamo stati fortunati, ad aver avuto la possibilità di contemplare paesaggi di simile bellezza. Concludiamo quest'impegnativa giornata al celeberrimo Tiki Village, una ricostruzione di un antico villaggio polinesiano, dove vengono effettuati degli spettacoli turistici.
Il clou dello show si ha a fine serata, quando assistiamo alle tipiche danze polinesiane, praticate da abilissimi danzatori e fantastiche ballerine, in una coreografia del tutto eccezionale.
Il giorno seguente faremo la conoscenza di un altro italiano trapiantato a Moorea, il quale ha aperto un negozietto di souvenirs, ma avremo la netta sensazione che nonostante decanti le bellezze e la tranquillità del posto, abbia una grande nostalgia dell'Italia. Questa giornata purtroppo coincide anche con il nostro ultimo giorno di permanenza in Polinesia Francese e la sfruttiamo quindi cercando di goderci a pieno il mare e gli splendidi paesaggi che questa terra può offrire. Saremo un tutt'uno con le palme, il mare di cristallo, i due splendidi isolotti di fronte a Les Tipaniers e la malinconia che inevitabilmente che ci assale in queste situazioni. Venerdì 27 Agosto, alle sette in punto del mattino prendiamo il piccolo aereo che in poco meno di dieci minuti ci condurrà a Papeete. Lì troviamo inesorabilmente pronto ad attenderci il Boeing dell'Air France, che in venticinque ore circa, ci porterà a casa a ricordare per sempre che, da qualche parte nel mondo, molto lontano, un giorno conoscemmo il paradiso.
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