Phuket,
l'isola che c'è
Malgrado
l’abbia finora visitata marginalmente, torno sempre volentieri in
Thailandia.
Sì,
perché il paese è estremamente ospitale, e la sua gente, cordiale,
amabile, ed assai disponibile, è sempre pronta a regalarmi un sorriso,
aldilà dello scontato rapporto turistico che possa legarci durante un
viaggio.
Torno
sempre volentieri in Thailandia, perché la sua straordinaria natura,
sembra ogni volta quasi divertirsi ad incantarmi come un bambino.
Torno
sempre volentieri in Thailandia, perché adoro quel senso di incredibile
spiritualità, che avverto passeggiando serenamente nei suoi Wat.
Torno
sempre volentieri in Thailandia, perché mi affascina la sua intrigante,
variegata e secolare cultura.
Torno
sempre volentieri in Thailandia perché amo la sua cucina, così saporita,
speziata e piccante.
Torno
sempre volentieri in Thailandia, forse anche perché, mentre scrivo queste
righe, mi rendo conto che potrei facilmente trovare altri mille motivi,
per giustificare proprio un perché.
Ho
avuto da sempre un legame indissolubile con il mare, che esercita nei miei
confronti un’attrazione essenzialmente irresistibile, e dopo le migliaia
di chilometri percorsi durante la scorsa estate nelle rosse terre dell’outback
australiano, negli ultimi mesi mi sentivo quasi in crisi di astinenza, al
punto tale da avvertire di giorno in giorno una sorta di necessità, e di
voler a tutti i costi staccare la cosiddetta spina per qualche tempo,
trovando un rifugio sicuro nelle calde acque di un mare già conosciuto, e
che tanto mi aveva affascinato, quale quello così spettacolare delle
Andaman, che bagna il lato sinistro della penisola del Siam.
La
varietà delle destinazioni turistiche in quella fascia di costa è andata
progressivamente ampliandosi nel tempo, e le isole che fanno sognare ad occhi aperti sembrano
oggi essere davvero molteplici, considerato che su alcune di esse avevo già
fantasticato sufficientemente nel corso degli ultimi anni, ma il
viaggiatore si sa, è spesso volubile, irrequieto ed instabile, tanto che
in questo periodo, più che partire alla ricerca dell’isola che non c’è,
avevamo voglia di stare in mezzo alla gente, e la nostra scelta per questa
quarta visita thailandese è pertanto caduta su quella che probabilmente
è la più gettonata località turistica del paese, ovvero l’isola di
Phuket.
Phuket
che, lo confesso, mentre percorriamo la statale 402 in direzione sud,
provenendo dall’aeroporto internazionale, un tantino ci spaventa per
l’intensa mole del suo congestionato traffico. Su consiglio di Giorgio,
un italiano trasferitosi in loco e conosciuto in internet, ci sistemiamo
al Kata Poolside Resort, un gradevole hotel ubicato a breve distanza dalla
famosa spiaggia di Kata e dirimpettaio del più blasonato, mastodontico e
lussuoso Kata Beach Resort. La nostra scelta risulterà ottima. L’hotel
ha anche il vantaggio di annoverare uno dei ristoranti più quotati di
Kata, il Lobster & Prawn,
che, essendo ora di pranzo, sperimentiamo subito, assaporando uno dei
nostri piatti preferiti, ovvero il piccante Kaeng
Khiew Wan Kai, curry verde di pollo, che innaffiamo con un’immancabile
Singha Beer di rito, ovviamente gelata al punto giusto. Ci dirigiamo
quindi sulla Kata Beach, dove trascorriamo il nostro primo pomeriggio. La
lunga spiaggia, protetta su entrambe i lati da dei promontori rocciosi, è
bella, quantunque la sabbia non sia bianchissima ed estremamente fine come
piace a noi, ed il mare è quest’oggi un tantino mosso. Peccato davvero,
poiché si nota comunque nitidamente la trasparenza dell’acqua. Cento
bath, grosso modo un paio di euro, questo è quanto paghiamo oggi e
pagheremo in quasi tutte le spiagge attrezzate dell’isola per due
lettini ed un ombrellone. Cifra da far indubbiamente impallidire quelle
notizie allarmanti riguardanti i costi esorbitanti denunciati ogni estate
nei confronti dei nostrani stabilimenti balneari. Il resto, ovviamente più
piacevole, è un’insieme di soddisfacenti sensazioni e vedute costituite
da baracchini di massaggiatrici, piccoli chioschi, dolcissimo e fresco
latte di cocco che non vedevo l’ora di riassaporare, venditori
ambulanti, lunghe passeggiate sul bagnasciuga, e le immancabili long tail
boats ancorate sui margini opposti della spiaggia, che fanno così tanto
Thailandia. Su una di questa barche a lunga coda, appunto, il giorno
successivo ci imbarchiamo alla volta di Nui Beach, spiaggia semiprivata,
raggiungibile unicamente via mare, o tramite una tortuosa stradina
sterrata lunga un paio di chilometri, adatta per lo più ai mezzi a
quattro ruote motrici. Balliamo per qualche minuto sulle lunghe onde
dietro al promontorio sinistro di Kata Noi, normale routine per noi in
Thailandia, e nulla di comparabile rispetto a quanto provato qualche anno
fa al largo di Ao Nang, nella provincia di Krabi. Poco dopo si intravede
una piccola e profonda rientranza, ed il mare, man mano che ci avviciniamo
alla riva, diventa progressivamente sempre più calmo, chiaro e
trasparente, fino ad assumere delle spettacolari tonalità verdi turchine.
Fissiamo per le sedici l’orario in cui il barcaiolo verrà a
riprenderci, dopodiché approdiamo in spiaggia, dove ci viene incontro un
ragazzo che ci assegna un ombrellone e due lettini, previo pagamento di
una somma sempre ovviamente esigua rispetto ai nostri standard, ma
equivalente a più del doppio in rapporto ai prezzi praticati nelle altre
località dell’isola. Però il posto li vale davvero tutti. Poca gente,
relativo silenzio, mare calmo, dai colori estremamente splendenti,
caratterizzato da acqua limpida, ed ubicato in una profonda insenatura
rocciosa, sui cui lati opposti è possibile praticare un discreto
snorkeling. Valentina si delizia galleggiando con la sua ciambella
gonfiabile nelle calde acque, mentre Patrizia si cimenta poco oltre in
qualche vigorosa bracciata. Le osservo con attenzione dal pelo
dell’acqua. A volte ci vuole così poco per sentirsi felici. Un sentiero
si inerpica dalla spiaggia fino allo spartano ristorante sovrastante, poco
più di una fatiscente casetta in mattoni, da cui si gode però di una
fantastica visuale dell’insenatura e degli accecanti colori del mare.
Ordiniamo dei Po Pia Kung, una sorta di saporiti involtini primavera, però
ripieni di gamberi anziché di verdure, e del pesce fritto, che ci vengono
serviti accompagnati da alcune squisite salse piccanti, tra cui spicca la
familiare nam prik pao, ed a cui
facciamo seguire delle generose porzioni di khao pad kung, l’appetitoso
riso fritto con gamberi. Sarà per l’ambiente, per la fantastica visuale
di cui godiamo, o più semplicemente per l’appetito, che a quest’ora
si fa notevolmente sentire, ma ricorderemo questo pasto come uno dei
migliori consumati durante questo soggiorno. La sera vengono a prenderci
in hotel Giorgio e la sua famiglia, e ci rechiamo tutti assieme al Baan
Rawai Restaurant. Valentina socializza con Giulia, più grande di lei di
solo due anni, ed iniziano vivacemente a scorazzare per i giardini del
ristorante, mentre Moon, l’affabile moglie thai di Giorgio, ordina tutta
una serie di pietanze, che da lì a breve imbandiranno la nostra tavola.
Difficile descriverle tutte, avrei dovuto prendere appunti, ma ricordo
particolarmente delle gustose ed enormi ostriche crude, che abbiamo
cosparso di erba cipollina fritta, dorata e finemente tritata, una
grandiosa e piccantissima Tom Yam Kung, una polpa di granchio grigliata
con verdure miste, ed uno squisito pesce al lemon grass. La serata si
conclude scambiando quattro chiacchiere a casa della simpatica famigliola,
sorseggiando dopo aver gustato tante specialità locali, un italianissimo
caffè, fatto rigorosamente con la moka.
Il
giorno seguente avevamo riservato un’escursione presso una vicina isola,
ma ci rinunciamo, prendendocela comoda, ed alzandoci un po’ più tardi,
poiché Valentina sta risentendo del fuso orario, e probabilmente avrà
anche preso un po’ troppo sole. Poco male però, avevo prenotato a
malincuore, considerato che non ci sono mai piaciute particolarmente
quelle escursioni organizzate, dove ti trovi “intruppato” ad altre
decine di turisti. Mi manca troppo quel senso di libertà che prediligo e
ricerco in un viaggio, e preferisco pertanto di gran lunga prendere a nolo
un’automobile, optando per una nuovissima Toyota Vios, che noleggio per
1.100 bath al giorno. Considerata l’estensione di Phuket, e tutto ciò
che c’è da vedere, pur essendo partito dall’idea di noleggiarlo per
soli due giorni, terrò invece il mezzo fino alla fine della vacanza,
rinnovando quotidianamente il noleggio, ed ottenendo nei giorni successivi
delle tariffe sensibilmente inferiori. Partiamo sulla strada costiera in
direzione nord, fermandoci un po’ di tempo a Karon, la prima località
che incontriamo. Il posto è bello, la spiaggia è molto lunga e la sabbia
decisamente più bianca e fine rispetto a Kata Yai, ma quest’oggi spira
un forte vento, che rende fastidiosa la permanenza in questo tratto di
costa, ed il mare è sostanzialmente increspato. Proseguiamo oltre,
constatando da subito la palese difficoltà di condurre un’automobile
lungo alcuni tratti delle strade di Phuket, dove spesso si creano nelle
salite lunghe code provocate dai tuk-tuk, dagli autobus, o da alcuni mezzi
carichi di merce, che stentano nella loro marcia. A peggiorare la
situazione, ci sono inoltre le decine di motorini che sfrecciano in
maniera disordinata, spesso condotti incautamente dagli stessi turisti,
che guidano sprovvedutamente nel mezzo della carreggiata, causando
avventati sorpassi da parte degli automobilisti che li seguono. Non è
affatto raro vedersi sbucare a velocità sostenuta da dietro una curva, un
mezzo contromano. Poco dopo Karon, intravediamo dietro la vegetazione la
sagoma verde-bianca del Meridien Phuket Beach Resort, e ci fermiamo per
qualche istante, parcheggiando l’auto presso una rientranza, ed
osservando dall’alto le smeraldine acque della Relax Bay, che ci appare
bellissima, e bagnata da un mare estremamente trasparente, come notiamo
con facilità anche da sopra la carreggiata. E’ chiaro che il lusso ha
un suo prezzo, in questo caso decisamente salato, ma anche la bellezza del
posto è comunque innegabile. Attraversiamo il lungomare di Patong,
autentico carnaio umano anche in pieno giorno e caratterizzato da un
traffico altamente congestionato. La spiaggia è molto affollata, non ci
sembra oltretutto particolarmente attraente e proseguiamo quindi oltre,
passando dapprima per Kamala, dove sono ancora purtroppo visibilmente
evidenti i segni della tragedia provocata dallo Tsunami. Imbocchiamo in
seguito una lunga serie di tornanti, che si inerpicano fino al cartello
che indica la Laem Singh Beach, dove parcheggiamo la nostra autovettura.
Scendiamo lungo il sentiero costituito da passerelle in legno, il quale si
snoda in discesa attraverso la fitta vegetazione per duecento metri circa.
La spiaggia ci appare dall’alto, ed è effettivamente molto
scenografica, caratterizzata dalla forma di piccola mezzaluna, incastonata
nella vegetazione circostante e bagnata da limpide acque che spaziano
cromaticamente dall’azzurro al verde intenso, infrangendosi nel mezzo su
alcune granitiche rocce levigate. Non c’è molta gente, diversi lettini
sono vuoti, meglio sicuramente così. Decidiamo di fermarci qualche
oretta, sollazzandoci in un mare davvero invitante, le cui piccole onde
rendono estremamente piacevole immergersi nell’acqua trasparente.
L’odore irresistibile del cibo tailandese e del pesce alla griglia si
diffonde presto nell’aria. Pranziamo in uno dei modesti ristorantini
posti alle spalle della spiaggia, consumando un saporito Phad Thai e del
piccante curry di pesce. Dopo pranzo riprendiamo la nostra marcia,
tralasciando Surin, dopo torneremo nei prossimi giorni, e Bang Tao, bella
spiaggia quasi monopolizzata dall’enorme complesso integrato del Laguna
Phuket. Dopo aver superato l’hotel Allamanda, imbocchiamo una strada
sterrata, che dopo qualche chilometro ci conduce sulla Layan Beach, dove
sostiamo nuovamente. Il posto mi piace molto. La spiaggia è lunga, molto
vasta, ed è lambita da un mare calmo. Perlomeno nel punto dove siamo noi,
c’è un solo bar e pochissimi lettini, molto distanti gli uni dagli
altri, ed ubicati prevalentemente nel tratto iniziale. Poi, centinaia di
metri deserti, fino ad un’ampia curva, in cui la spiaggia si nasconde a
perdita d’occhio dietro ad un piccolo promontorio cosparso di
vegetazione. In mezzo al mare, a suggellare il paesaggio, una long tail
boat che sembra ancorata lì per caso, quasi al fine di invogliare i
turisti a scattare scenografiche fotografie. Proseguiamo oltre, fino alla
Naithon Noi Beach, sostando presso l’Andaman White Beach Resort, un
albergo da sogno, estremamente lussuoso, delimitato da una spiaggia
altrettanto scenografica, che desideravamo vedere. Ci sediamo ad un tavolo
in prossimità della spiaggia, ed ordiniamo un gelato, tra l’altro
davvero eccellente, ma pagando un conto salatissimo, rapportato
sicuramente al lussuoso contesto in cui ci viene servito, anche se ne vale
decisamente la pena, trattandosi assolutamente di un gran bel posto, che,
con il sole basso, risplende a quest’ora di una magica luce. Tralasciamo
la Naithon Beach, dirigendoci ancora a nord, alla volta della Nai Yang
Beach, ma arrivati in prossimità del cartello che indica la svolta per la
stessa, notiamo un grosso mercato locale. A questo punto, considerato che
sta quasi tramontando, dobbiamo scegliere se andare a vedere la spiaggia,
o fermarci al mercato. Non ci pensiamo due volte, e poco dopo ci troviamo
a passeggiare incuriositi tra decine di banchetti che espongono svariata
mercanzia, in un’intensa esplosione di colori, odori,
suoni, parole per noi incomprensibili, ma anche molti sorrisi, in fondo
siamo farang, ed in questo caso anche paragonabili a delle mosche bianche.
Peccato però, queste sono le situazioni in cui vorresti più del solito
socializzare, scambiare quattro chiacchiere che vadano oltre le poche
parole thai imparate, e mai come in questo caso le differenze linguistiche
costituiscono delle barriere. Ci sono decine di banchi che vendono
abbigliamento, mentre altri smerciano pesce fresco ed essiccato, nonché
carne macellata, che in alcuni casi sembra rendere felici nugoli di
mosche. Altri ancora offrono un’infinità di frutti e verdure, mentre
sono decine i banchetti che cuociono cibo, diffondendo nell’aria intensi
e pungenti profumi, più o meno piacevoli. Tornati a Kata, ceniamo presso
il Lobster & Prawn, sul cui ingresso, ubicato sulla strada principale,
tutte le sere viene esposto in bellavista dell’invitante pesce
fresco. Il barbecue arrostirà per noi alcuni giganteschi Tiger Prawn, un
Red Snapper e dei bei calamari, che andranno a far compagnia a degli
squisiti noodles fritti, ed all’immancabile riso. Poi, passeggiata
turistica di rito tra i negozietti di Kata.
L’indomani
muoviamo verso sud, sostando dapprima sul belvedere, da cui si gode di una
magnifica visuale in lontananza delle sottostanti spiagge di Karon, Kata
Yai e Kata Noi, quest’ultima oggi davvero spettacolare, distinguendosi
in particolare per un mare dall’intenso color verde smeraldo. Una coppia
di francesi ha scelto questa scenografia per immortalare fotograficamente
il proprio matrimonio, e tra i loro ospiti, ci appaiono molto graziose
delle piccole damigelle vestite tutte uguali, sebbene in un contesto
informale come questo, dove si fermano decine di turisti in costume e
canottiera, determinati abiti da cerimonia appaiono forse stonati.
Raggiungiamo in seguito Nai Harn Beach, caratterizzata da un’ampia e
profonda laguna bagnata questa mattina da placide acque, e delimitata su
entrambi i lati da delle basse colline, su una delle quali spicca la
sagoma del lussuoso Royal Meridien Phuket Yacht Club. Essendo oggi
domenica, la spiaggia ed i retrostanti ristoranti, oltre ad annoverare le
solite presenze turistiche, pullulano di thai, e questo conferisce al
posto un’aria un po’ più autentica. Pur essendo visibilmente pulita,
l’acqua della parte centrale non è estremamente limpida, così ci
spostiamo passeggiando verso l’estremità sinistra, dalla parte opposta
rispetto al Meridien, fino a quando, in prossimità delle formazioni
rocciose che delimitano l’ampia spiaggia, troviamo un mare estremamente
cristallino e dagli intensi colori. Trascorriamo diverso tempo in questo
punto, dove abbiamo riscontrato uno dei più bei tratti di mare visti a
Phuket. Nel tardo pomeriggio proseguiamo alla volta del Phrom Thep Cape,
il punto più a sud dell’isola, che, a quanto sembra, oltre ad essere
un’attrattiva turistica da cui è possibile ammirare un magnifico
tramonto, è anche un luogo d’incontro domenicale dei locali,
considerato che lo troviamo letteralmente affollato di thailandesi. Sono
assai numerose in particolare le giovani coppiette, e le comitive di
ragazzi, diversi dei quali si divertono cantando e strimpellando delle
chitarre. Passando dinnanzi ad un gruppo di questi, intono scherzosamente
le parole “Made in Thailand”, che corrispondono al titolo di un brano
di successo molto in voga diversi anni fa, e cantato dai Carabao, uno dei
complessi musicali thailandesi più affermati. E’ l’apoteosi. Molti di
questi ragazzi si presentano, parlano un discreto inglese e ci invitano a
cantare con loro. Tento di rifiutare, ma insistono simpaticamente
coinvolgendomi, ed allora provo a stare al gioco, improvvisando di nuovo
il ritornello di Made in Thailand. Mi scrivono su un foglio le parole come
andrebbero più o meno pronunciate in thai e, quando iniziano a suonare,
parto con uno stonato “med in
tailen, den din tai rao, gep gan jon gao…” fino a quando il Phrom
Thep Cape non viene quasi giù per le risate, comprese quelle mie, di
Patrizia e Valentina. I simpatici ragazzi ci invitano a mangiare qualcosa
in loro compagnia, ma rifiutiamo con cortesia, dopo esserci congedati tra
mille risate ed un affettuoso saluto. Nel piazzale principale della
località, in prossimità dei parcheggi, sorgono svariati banchetti che
vendono cibarie differenti, e piccoli carrettini che arrostiscono satay e
calamari, spargendo nell’aria intensi ed invitanti profumi. Sopra, a
breve distanza dal punto in cui mi sono “esibito”, troviamo anche un
tempietto dedicato a Bhrama, che pullula di fedeli intenti nelle loro
preghiere, ed impegnati a bruciare bastoncini d’incenso. Lo spettacolo
sottostante, costituito dalle visuali d’insieme della scogliera, degli
isolotti poco distanti, e del mare incorniciato dalle palme, è veramente
eccezionale, sebbene non ci tratterremo qui fino al tramonto, ma
raggiungiamo invece Kata Noi, bella spiaggia dove passeggiamo fino
all’imbrunire. La sera decidiamo di andare a Patong, che preferisco però
raggiungere con un Tuk-Tuk, poiché non ho voglia di guidare in quella
bolgia, né tantomeno avere grattacapi su dove parcheggiare. Ceniamo al
Patong Seafood, ubicato sul lungomare, vicino al Banana Disco, dove
consumiamo dei grossi gamberoni al barbecue, un pesce cotto al vapore e
saltato con peperoncini e verdure, uno squisito granchio pescato vivo
sotto ai nostri occhi dall’acquario, e riportato in tavola direttamente
nella casseruola assieme a dei succulenti noodles di soia, nonché una
grandiosa Tom Yam Talay, variante della celeberrima Tom Yam Kung, sebbene
leggermente meno agra, e composta da un mix di frutti di mare, anziché di
soli gamberi. L’unico neo, non affatto trascurabile direi, è che è
piccante da morire, al punto tale da farmi lacrimare mentre la ingerisco,
malgrado sono abituato da sempre a consumare pietanze che contengono
peperoncino. Mi rendo conto di stare esagerando con il cibo, e ne pagherò
in seguito le conseguenze. Dopo cena continuiamo a passeggiare sul
lungomare, dopo restiamo attoniti di fronte a dei negozi che, assieme ai
classici souvenir, vendono anche macabri carnet fotografici relativi allo
Tsunami, oltre a videocassette e dvd vari riguardanti l’immane tragedia.
Imbocchiamo in seguito Soi Bangla, che percorriamo fino alla congiunzione
con la Rat-U-Thit Road. Se il lungomare di Patong in sé stesso non
mi era piaciuto, trovo addirittura deprimente Soi Bangla, una sorta di
dantesco girone infernale ambientato in una stretta strada, dove si
fondono quasi mescolandosi tra loro svariati negozi turistici, centinaia
di persone, locali più o meno equivoci, caos, sgargianti insegne
luminose, travestiti, musica sparata a tutto volume, turisti palesemente
ubriachi, bar con gentili donzelle annesse agli sgabelli, sapientemente
impegnate ad adescare i clienti con un “helloooooo!”, e tutto il kitch
possibile ed immaginabile in un luogo deputato al turismo, purtroppo anche
sfacciatamente sessuale. Mi ricorda una Patpong Road di Bangkok
amplificata nei suoi lati negativi, con l’aggravante che, salvo qualche
piccola eccezione, qui mancano anche le simpatiche bancarelle in cui
cimentarsi negli acquisti di paccottiglia turistica.
Il
giorno successivo decidiamo di tornare verso nord, al fine di visitare Hat
Nai Yang, a cui l’altro ieri abbiamo preferito un attiguo mercato.
Scegliamo di percorrere ancora la strada costiera, anziché prendere la
via dell’interno e la più veloce 402. Ci fermiamo in prossimità di
Surin, con l’intento di visitarla brevemente e riprendere
successivamente la marcia, ma il posto tutto sommato ci piace e decidiamo
di rimanerci. Surin Beach non viene tanto elogiata, eppure si tratta di
una spiaggia carina, non eccessivamente affollata e con un mare
quest’oggi particolarmente limpido ed invitante, in particolar modo
nell’estremità destra, dove l’acqua risulta estremamente cristallina
e quasi crea una suggestiva cartolina, fondendosi assieme ad alcune vicine
formazioni rocciose, e ad un piccolo boschetto di palme. Già, palme che a
Phuket sembrano nell’insieme scarseggiare, specie se si fa uno scontato
paragone con isole visitate nel passato come Samui, dove costituiscono
invece un elemento predominante nel territorio. Comunque Surin ci piace e
sarebbe a mio avviso un gran bel posto se non fosse per le invadenti moto
d’acqua, per fortuna comunque presenti in numero limitato, che però a
tratti infastidiscono, creando rumore e sollevando onde. Purtroppo,
rappresentano il lato negativo del forte impatto turistico, ed in
determinate località come questa, occorre necessariamente farci i conti.
Anche qui, come nella maggior parte delle spiagge dell’isola, sono
presenti alle spalle del mare dei piccoli ristoranti spartani, presso i
quali gustare qualche specialità locale con lo sguardo rivolto verso il
turchese delle acque. L’anziana proprietaria di uno di questi locali mi
chiede come preferisco il mio curry di gamberi, se piccante, poco
piccante, o mediamente piccante. Le rispondo di prepararlo come piace a
lei e mi serve una pietanza che mi incendia letteralmente le labbra ed il
palato. E’ felice che mi sia piaciuto, si siede un po’ assieme a noi,
scambiamo qualche chiacchiera e mi racconta brevemente della sua famiglia,
sebbene il suo inglese tende a dimezzare quasi le parole, e spesso stento
a comprenderla, ma la sua simpatia, la sua spontaneità, ed il suo sorriso
non hanno prezzo. Grazie del curry gentile signora, ma soprattutto della
tua dolcezza. Restiamo ad Hat Surin fino quasi al tramonto, dopodiché
riprendiamo la via di Kata, prendendo questa volta dapprima la 4025 fino
al monumento dedicato alle Due Eroine, e fermandoci in seguito presso il
Tesco Lotus, un gigantesco ipermercato ubicato all’incrocio tra la
statale 402 e la diramazione per Patong. Una delle tante cose che più mi
piacciono in un viaggio, è quella di curiosare tra i mercati ed i
supermarket locali, osservando i prodotti esposti, e gli acquisti della
gente del posto, sbirciando nei loro carrelli, e dando magari se possibile
anche un’occhiata alla loro lista della spesa, in questo caso però
ovviamente incomprensibile. La sera ceniamo nuovamente al Lobster & Prawn, dove mi cimento tra le altre cose ancora una volta
nella famosa e piccantissima Tom Yam Kung, ma, come scritto, ho
probabilmente esagerato con le industriali quantità di cibo ingerite, e
durante la notte vengo colto da conati di vomito e febbre, che non mi
abbandonerà per tutto il giorno seguente. Un grosso peccato di gola, è
proprio il caso di dirlo, ma riesco davvero poco a resistere alle
prelibatezze di questa eccezionale cucina. Trascorriamo la giornata quasi
interamente nell’incantevole e vicina Kata Noi, una spiaggia molto
carina e caratterizzata da una bella sabbia bianca. Anche qui, come nella
vicina Kata Yai, il mare durante questi giorni è leggermente mosso, ma
estremamente pulito. Quasi l’intera lunghezza della spiaggia è occupata
alle proprie spalle dal Katathani Beach Resort, un lussuoso complesso
turistico, che sorge per l’appunto in posizione privilegiata. La febbre
mi impedisce di godere appieno della bellezza del posto, a differenza di
Valentina e Patrizia, che trascorrono gran parte del tempo a mollo nelle
sue trasparenti acque. Nel tardo pomeriggio incontriamo Federico, un altro
italiano conosciuto in internet, in vacanza anch’egli in questo periodo
a Phuket, in compagnia della moglie Franca. Si rivelano persone
estremamente interessanti e simpatiche, oltre ad essere degli esperti
viaggiatori, che hanno di fatto visitato mezzo mondo. In serata, ci
rechiamo assieme in macchina alla rotonda di Chalong, dove ci aspettano
Giorgio e famiglia. Concordiamo di recarci a cena al Phuket View
Restaurant, un elegante locale conosciuto da Giorgio, ed ubicato in
posizione panoramica sulla Rang
Hill, la collina che sovrasta Phuket Town. Federico compie quest’oggi
gli anni, e ci comunica a priori che sarà pertanto lui ad offrire
gentilmente la cena. Anche questa volta Moon ordina un’ingente quantità
di pietanze, che andranno ad occupare pressoché per intero la nostra
tavola, ma l’indigestione in corso e la relativa febbre mi impediscono
quasi di toccar cibo, ed è un vero peccato, poiché l’aspetto dello
stesso è decisamente invitante. Assaggio solo un po’ di riso servito in
un ananas e del maiale, comunque davvero squisiti, ma poi debbo gioco
forza abdicare. Trascorriamo la serata in allegria, anche se mi rendo
conto di non essere propriamente in forma, ma è un piacere aver
conosciuto queste persone con le quali ci eravamo finora solo scritti via
e-mail, ed aver condiviso con loro dei piacevoli momenti. Strano davvero
conoscersi virtualmente grazie ad una passione legata ai viaggi, e poi
trovarsi assieme davanti ad una tavola imbandita dall’altra parte del
mondo. Tra i vari ricordi di Phuket, porterò per sempre con me anche
quelli legati all’espressione compiaciuta e da autentico gourmet di
Giorgio, quando illustra con effettiva passione le specialità
gastronomiche di alcuni ristoranti dell’isola, l’amore tangibile per
l’India che traspare nelle singole parole di Federico e Franca, i
disegni su un album di Valentina e Giulia, le chiacchiere a voce bassa tra
Patrizia e Moon sulla scuola in Thailandia.
Il
giorno dopo mi sento decisamente meglio e puntiamo di nuovo a nord,
direttamente alla volta della Nai Yang Beach, che raggiungiamo dopo
un’oretta scarsa. Il posto si dimostra all’altezza delle aspettative.
La lunga spiaggia, orlata da casuarine, è bagnata da un mare estremamente
calmo, una sorta di grande piscina contraddistinta da fondali che
degradano molto lentamente. Esiste un’area attrezzata con lettini ed
ombrelloni solo nella parte centrale, davanti al minuscolo agglomerato
comprendente un paio di alloggi e diversi essenziali ristorantini, che
notiamo essere molto frequentati dai locali, mentre gran parte
dell’immensa spiaggia è sostanzialmente deserta. Qui, niente moto
d’acqua e parasailing, solo tranquillità assoluta, ma il mare, comunque
pulito, non è però estremamente trasparente, tanto da indurci ancora una
volta a passeggiare verso il
lato destro, per vedere cosa c’è dietro l’ampia curva delimitata
dalla spiaggia, che osserviamo in lontananza. Superiamo dapprima un tratto
in cui sono ancorate diverse barche contenenti reti ed altri strumenti
utili alla pesca, poi la spiaggia di Nai Yang si fonde più avanti con
quella di Mai
Khao, e
non c’è più nulla e nessuno, salvo una striscia di sabbia che si perde
all’orizzonte, ed il mare che cercavamo, quello da cartolina,
assolutamente limpido. Restiamo molto a lungo in questo posto fatato,
perennemente in completa solitudine, ed a mollo in una caldissima acqua di
cristallo, mentre di tanto in tanto, qualche centinaia di metri più
lontano, un aereo atterra nel vicino aeroporto nascosto tra la
vegetazione. Uno spettacolo! Ci troviamo nel Sirinat National Park, il
quale, tra terra e mare, comprende un’area complessiva di novanta
chilometri quadrati, ed annovera al suo interno differenti tipi di uccelli
ed una flora assai diversificata, che va appunto dalle casuarine alle
foreste di mangrovie, oltre ad ospitare un discreto reef corallino, che
sorge in acque poco profonde, ad una distanza di circa settecento metri
dalla costa. Restiamo a Nai Yang fino all’imbrunire, godendo appieno
della bellezza e dell’isolamento del posto. Domani lasceremo Phuket, con
la reale constatazione che in fondo sarebbero ancora molte le cose da
vedere e visitare, anche negli immediati dintorni. Si parte spesso alla
ricerca dell’isola che non c’è, ma Phuket è qui, e malgrado le
inevitabili contraddizioni di un luogo da tempo consacrato al turismo di
massa, riesce ancora magistralmente ad assorbire gli oltre tre milioni di
visitatori l’anno, concedendo ad ognuno il suo spazio, a seconda delle
proprie esigenze e dei relativi gusti, riuscendo inoltre ad offrire tutte
quelle comodità di cui spesso comunque il turista necessita. L’isola è
riuscita a rialzare la testa anche dopo la grande tragedia dello Tsunami,
che l’ha colpita poco più di un anno fa, ed pronta ormai da mesi ad
offrire nuovamente al visitatore belle spiagge, sole e mare cristallino,
oltre alla proverbiale ospitalità dei suoi abitanti. Le ultime immagini
di Phuket che porteremo con noi sono dettate rispettivamente dal sole, che
sta lentamente tramontando dietro al promontorio sinistro di Nai Yang,
dalle immancabili e caratteristiche long tail ancorate, e dai piccoli
ristorantini, che iniziano ad esporre il pesce, apparecchiando i tavoli
direttamente sulla spiaggia. Tra quelli visitati, questo è il posto che
più sentiamo vicino a noi e, come scrivevo all’inizio del racconto, torno
sempre volentieri in Thailandia, trovando facilmente ogni volta mille e più
motivi per farlo, come in questo caso, dopo aver visitato l’attiguo
Nai Yang Beach Resort, ed aver preso qualche depliant di questo piccolo,
spartano e grazioso complesso di bungalow. Perché in fondo, chissà, un
giorno forse, per la nostra quinta visita in questo meraviglioso paese,
potremmo ripartire proprio da qui.
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