- Le meraviglie dell'Andaman Sea -

 


Ogni volta è come se fosse la prima.

Al momento del check-in avverto qualcosa che mi pervade, che riesce a mandarmi l’entusiasmo alle stelle. Quando vedo scomparire i bagagli sul nastro trasportatore, già immagino il momento in cui potrò riprenderli, intravedo con la fantasia un altro aeroporto, un nuovo posto da scoprire, altra gente da conoscere, altri ricordi da immagazzinare nelle nostre esperienze. Il viaggio di andata è stato un vero tormento. I ricordi del volo estivo verso Hong Kong e Cairns sono ormai sbiaditi, ed appartengono ad un passato che sembra davvero remoto. Valentina non si è fermata un solo istante, ed abbiamo trascorso le dieci ore di viaggio fino a Bangkok sempre in piedi, impegnati ad inseguirla lungo le file dell’aereo, mentre socializzava con gli altri passeggeri ed i membri dell’equipaggio. Lo confesso, è stato un volo interminabile, durante il quale abbiamo messo in discussione l’opportunità dello stesso, ma si sa che le esigenze di una bimba di quindici mesi sono diverse dalle nostre, pertanto, con infinita pazienza ci siamo adeguati, e poco dopo le 6 e trenta del mattino ora locale, seppur stremati, atterriamo ancora una volta in terra d’oriente, tirando un deciso sospiro di sollievo. Le code al controllo passaporti sono infinite e scorrono con notevole lentezza. Decido quindi di mostrare i biglietti aerei per Krabi ad funzionario, dicendogli che rischiamo di perdere la coincidenza. Ci accompagna in un ufficio, prendendosi i nostri passaporti e dicendoci di aspettarlo. In breve esce con gli stessi regolarmente timbrati, augurandoci un buon soggiorno in Thailandia. Usciamo quindi dal terminal per prendere la navetta gratuita che conduce ai voli domestici e restiamo impressionati dal caldo, al quale indubbiamente non eravamo più abituati. Ebbene sì, ritroviamo quellderivanti dal traffico assordante, i “taxi meter”, le tante persone che ci avvicinano proponendoci passaggi in città o qualche hotel a buon mercato, altri addirittura che ci mostrano dei depliant illustrati con le escursioni al mercato galleggiante, ritroviamo in poche parole un accenno di Bangkok, una città unica nel suo insieme, alla quale ci sentiamo un tantino legati, e davvero mi dispiace non soggiornarvi ancora una volta. Il free shuttle bus parte quando siamo al gran completo, ovvero quando siamo stipati assieme a decine di altri viaggiatori appartenenti a varie nazionalità. Valentina li guarda meravigliata, probabilmente incuriosita dalle incomprensibili parole che pronunciano e, come sempre, è al centro dell’attenzione, in quanto passeggero più “giovane”. In poco più di un’ora di volo raggiungiamo Krabi, situata circa mille chilometri a sud di Bangkok. Sono appena le dieci del mattino, ma la pista è infuocata. L'aeroporto di Krabi è una piccola sorpresa, poichè, malgrado abbia dimensioni ridotte, è discretamente moderno. Sostiamo al banco dei taxi, dove paghiamo 500 bath per una corsa sino ad Ao Nang, la principale spiaggia dei dintorni distante una trentina di chilometri. Sì, perché malgrado Krabi sia una delle località marine più gettonate nell’ampio panorama turistico thailandese, in realtà è una cittadina che sorge nell’entroterra, sulle sponde dell’omonimo fiume. Subito fuori dall'aeroporto si intravedono alcuni caratteristici rilievi carsici che sembrano spuntare dal nulla dalle campagne circostanti, e che da quanto sappiamo sono un classico in tutta la provincia, sia nell’entroterra che nel mare. Dopo una ventina di minuti trascorsi attraversando zone rurali, quando il traffico diventa più intenso e s’intravede il mare, capiamo cha siamo giunti a destinazione. Il taxi lascia la movimentata strada principale, imboccando una piccola stradina orlata da palme chiusa al traffico, che conduce al nostro albergo, e la quale costeggia praticamente la parte sinistra della lunga spiaggia. Il Golden Beach Resort è un piccolo complesso abbastanza carino, di recente costruzione, ed è costituito da un basso edificio che si snoda a ferro di cavallo attorno ad una piscina ed un giardino, nel quale si ergono imperiose alcune alte palme da cocco. Insomma, un bel posticino davvero, tra l’altro molto informale, ed è proprio quanto preferiamo. Come spesso succede quando si arriva in anticipo, la camera non è ancora pronta, per cui ci fanno accomodare nella caratteristica hall dove in breve ci addormentiamo tutti e tre con il sottofondo musicale dettato dal cinguettio dei molti uccelli presenti. Una volta preso possesso della camera, Patrizia prepara subito il pranzo per Valentina, cercando in questo modo di abituarla alla differenza di fuso orario, dopodiché ci rechiamo direttamente in spiaggia, malgrado sono ore che non dormiamo e la stanchezza inizia sempre più a farsi sentire. Finalmente ritroviamo il mare. Ao Nang non eccede in bellezza, in quanto, malgrado presenti tutte le caratteristiche della tipica spiaggia tropicale, è usata prevalentemente come base per imbarcarsi sulle numerose isole limitrofe, e di conseguenza è piuttosto affollata, specie nella parte centrale. Sono molte infatti le long tail boat ormeggiate, pronte a salpare. Il lato sinistro della spiaggia è delimitato da alte e suggestive formazioni rocciose che di fatto la separano da altre famose spiagge raggiungibili solo in barca, mentre all’orizzonte s’intravedono le sagome di numerose isole. Ci viene incontro un ragazzo, proponendoci un giro sulle stesse, cosa che del resto era proprio nelle nostre intenzioni. Ci accordiamo quindi per un tour di cinque ore, ed in breve salpiamo verso il mare aperto, un mare liscio come l'olio. Patrizia stringe a sé Valentina, abbastanza disturbata dal rumore assordante del motore della lunga barca, ma è anche ovviamente stanca. Allontanandoci dalla costa si ha una bellissima visuale del circondario di Ao Nang, ed in particolare si riescono a distinguere le vicine spiagge, separate l’una dall'altra da incredibili promontori montuosi. In lontananza, il candore delle stesse risalta incredibilmente tra il verde intenso della fitta vegetazione che presentano alle spalle, il grigio delle rocce da cui sono chiuse sui lati esterni, ed il blu intenso del mare dal quale sono lambite.

Durante la navigazione superiamo alcuni immensi faraglioni, i quali s’innalzano maestosamente dal mare, conferendo all’insieme paesaggistico un aspetto quasi fiabesco, mentre ad un tratto, dopo una ventina di minuti, l’acqua cambia colore, passando progressivamente dal blu intenso al verde, fino alla trasparenza assoluta. Approdiamo a Koh Poda, una delle circa 150 isole presenti nella provincia di Krabi, e disseminate di fatto nel Mar delle Andamane. Salutiamo il nostro amico barcaiolo, e ci incamminiamo lungo la bianchissima spiaggia. Le grida di stupore di alcuni ragazzi destano la nostra curiosità, e nell’acqua totalmente incolore intravediamo nitidamente le sagome di due piccoli squaletti, che nuotano indisturbati a pochi passi dalla riva. Fa davvero molto caldo ed il sole picchia pazzescamente, tanto che Patrizia continua a spalmare crema protettiva sulla delicatissima pelle della nostra bimba. Lasciamo la parte centrale dell’isola, dove ormeggiano tutte le long tail boat provenienti da Ao Nang e ci dirigiamo brevemente in un punto più distante e di conseguenza notevolmente più tranquillo. Posiamo i nostri zaini all’ombra di uno dei numerosi alberi che orlano la spiaggia e ci tuffiamo tutti e tre in quest’acqua bollente dall’impressionante trasparenza. Valentina è davvero divertita, e non vorrebbe più uscire dalla stessa. Poco dopo si addormenta, e ne approfitto per fare due passi lungo la spiaggia. Ho sempre amato passeggiare lungo il mare, contemplando i paesaggi che si manifestano ai miei occhi, paesaggi che in questo caso sono di una bellezza quasi irreale. Sono davvero felice, guardo in lontananza le mie belle donne, poi lo sguardo cade sul mare, sulle mille isole vicine, sulle palme, sulle noci di cocco, sul cielo, su una barca che taglia quest’acqua simile ad una lastra di cristallo.

Aspettiamo quindi che Valentina si svegli, ed eccoci quindi nuovamente in barca, con la quale raggiungiamo brevemente Koh Kai, altra isola lambita da una mare dalle tonalità incredibili, la cui spettacolare particolarità è quella di essere separata da una stretta e lunga lingua di sabbia bianchissima da un’altra isola più grande, ribattezzata comunemente Chicken Island, a causa della sua particolare forma, che ricorda in lontananza la sagoma di un pollo.

Siamo nuovamente sulla long tail boat, mentre il sole picchia ora meno fortemente e gli spruzzi del mare rinfrescano la nostra pelle un tantino scottata. La nostra ultima tappa e la Hat Rai Leh, una bellissima spiaggia non distante da Ao Nang, ma raggiungibile unicamente in barca. Si tratta di un altro posto speciale, dove estraniarsi dal resto del mondo soggiornando in uno dei piccoli complessi di bungalow presenti, presso uno dei quali ci soffermiamo a consumare uno squisito latte di cocco. Torniamo quindi ad Ao Nang, dove il mare si è completamente ritirato, tanto che dobbiamo camminare nell’acqua per oltre cinquanta metri prima di poter raggiungere la riva. Le long tail boat ormeggiate sono ora molto più numerose rispetto a stamattina, il cielo si è tinto di rosso, le isole al largo si vedono molto più nitidamente, i venditori di ananas cercano di svendere le ultime fette rimaste, le massaggiatrici chiudono i loro uffici e noi, dopo una meritata cena, cerchiamo di porre rimedio alle oltre trenta ore che non chiudiamo occhio, addormentandoci in prossimità di uno spettacolare Mar delle Andamane.        

Il mattino seguente siamo svegliati naturalmente dalla luce intensa del sole, che penetra magistralmente attraverso le fessure delle tapparelle, creando dei bizzarri giochi di luce nella nostra stanza. E’ una meravigliosa giornata, ed il nostro risveglio è allietato ancor più dal canto dei numerosi uccelli nascosti tra le palme. Durante la colazione Valentina è oggetto dell’interesse delle cameriere, le quali richiamano continuamente la sua attenzione, giocano con lei, la prendono in braccio, provano a pronunciare il suo nome, la baciano affettuosamente. Notiamo la spontaneità dei gesti, l’amore che queste donne mostrano verso i bambini, la dolcezza che manifestano. Alle otto arriva puntualmente la nostra guida a prelevarci. Tom è un ragazzo giovane, sulla ventina, molto cordiale e disponibile e la cosa che più ci colpisce di lui sono un’infinità di anelli che presenta nelle dita di una mano.

Oggi effettueremo un’escursione di un’intera giornata, sicuramente lontana dai classici itinerari turistici.

Il nostro tragitto avviene inizialmente in songthaew, una sorta di pick-up molto grande, dove sono stati posizionati nella parte posteriore due assi paralleli per trasportare i passeggeri, il quale è molto in uso in numerose zone della Thailandia e funge come un economico taxi collettivo. Ben preso lasciamo il centro abitato addentrandoci in delle zone poco popolate che ci ricordano molto la Malaysia, sia per le tante costruzioni su palafitta, che per il modo di vestire degli abitanti, i quali sono infatti per la maggior parte di fede islamica. Attraversiamo alcuni piccoli villaggi, dove spiccano delle piccole moschee rurali, diversi mercatini alimentari, ma dove ogni tanto non manca fuori di qualche casetta un piccolo tempietto con un Buddha all’interno, quasi a testimoniare che comunque la Thailandia resta un paese costituito per una grande maggioranza da buddisti theravada. Anche i paesaggi si alternano, con un continuo avvicendarsi di palme da olio, zone più brulle, foreste di palme da cocco, altre di tipica vegetazione tropicale, ma, soprattutto, moltissime montagne di origine carsica dalle forme più svariate, che conferiscono al territorio un aspetto davvero particolare. Dopo una quarantina di minuti giungiamo a destinazione, ovvero al canyon di Ao Thalen. Una piccola stradina sterrata che si snoda attraverso una fitta boscaglia, ci conduce ad un paio di piccole casette su palafitte in prossimità del mare. Qui sono pronti i nostri cayak, e dopo aver sistemato i nostri zaini in delle borse impermeabili, ci accingiamo a partire. Patrizia si sistema con Valentina tra le gambe, nella parte anteriore di un cayak a due posti, con la guida posizionata posteriormente, mentre io procedo con un altro cayak. In breve pagaiamo attraverso una grande baia dalle placide acque, in direzione di quelle che sono le pareti del canyon, distante grosso modo quattro o cinquecento metri da noi. Lungo il tragitto, dalla parte del mare aperto s’intravedono nitidamente un gruppo di isole all’orizzonte. Fa decisamente caldo, ed il sole picchia molto. In breve raggiungiamo le rocce, ed entriamo tra le pareti. Tutt’intorno regna una tranquillità irreale, ed il silenzio è rotto unicamente dall’infrangersi sull’acqua delle nostre pagaie, o da qualche parolina di Valentina. I fondali marini perdono in breve la trasparenza, e ci infiliamo attraverso una strettoia, proprio sotto le alte pareti rocciose. Rapidamente il paesaggio muta radicalmente, in quanto ci troviamo a pagaiare attraverso una serie di stretti canali, in un ambiente costituito prevalentemente da fitte foreste di mangrovie.

Raggiungiamo delle grotte, dove sostiamo qualche istante gustando un’ananas di una dolcezza unica e rimanendo estasiati dalle molte stalattiti presenti, le quali mostrano delle forme assolutamente bizzarre.

Poco distante incontriamo una piccola famiglia di macachi, che Valentina divertita scambia per cani, iniziando ad esclamare “bau”. Un colpetto sulla schiena, seguito da un inevitabile forte spavento, mi avverte che una di queste simpatiche scimmiotte mi è saltata addosso, quasi subito emulata da una sua amica. In breve mi ritrovo il cayak invaso dalle stesse, in quanto attratte da alcune fette di ananas avanzate. Ammiro la loro rapidità, la loro astuzia nel prendere i bocconcini e saltar via rapidamente. Il nostro percorso continua attraverso le mangrovie, le quali diventano sempre più fitte, tanto che spesso dobbiamo aiutarci puntando la pagaia sul basso fondale, al fine di non rimanere impantanati in qualche punto. Dopo due ore e mezza torniamo nella baia, ed in breve raggiungiamo la banchina dalla quale siamo partiti. Patrizia ne approfitta per far mangiare Valentina, la quale è attratta da un gattino, da cui è davvero difficile tenerla a debita distanza. La nostra guida, assieme ad un paio di colleghi imbandisce la tavola per il pranzo, o meglio, tira fuori un paio di termos, nei quali sono conservati del riso bianco, delle verdure, ed un po’ di pesce fritto. Ci invita ad approfittarne. Stazioniamo un po’ su questo pontile galleggiante, dal quale osserviamo la vita tranquilla di questa gente, i bambini che fanno il bagno nudi, le palafitte in legno con l’immancabile antenna, qualche pollo che circola indisturbato, e restiamo ancora una volta colpiti dalla loro semplicità. Nel primo pomeriggio riprendiamo il mare aperto. A bordo di una grossa barca lasciamo Ao Thalen. Valentina non riesce proprio a star ferma e cerca in tutti i modi di prendere tutto ciò che trova a bordo. Superiamo decine di isole, alcune poco più che grandi scogli, altre di notevoli dimensioni. Dopo una buona mezz’ora giungiamo a Koh Hong, la quale ci accoglie con la sua particolare forma, essendo essa costituita da alcuni speroni rocciosi simili a delle guglie di un castello. Giunti in prossimità dell’isola, la nostra barca si insinua attraverso uno stretto canale tra le rocce, entrando di fatto in una grande laguna interna costituita da acque color verde smeraldo. Il termine Hong significa stanza in thai, proprio ad indicare questa specie di camera interna, la quale ci regala dei momenti di grande spettacolarità mentre la navighiamo in solitudine. Lasciata la laguna interna, ci fermiamo un paio d’ore su una spiaggia esterna, anch’essa particolare, in quanto costituita da un paio di profonde baie circondate dalle alte rocce. Anche qui l’acqua presenta una trasparenza incredibile, ma il fatto che più ci colpisce è il suo colore, un verde accecante.

Koh Hong è davvero una gran bella isola, imperdibile a mio parere. Valentina, dopo non aver chiuso occhio per tutto il giorno, s’è ora addormentata, per cui, dopo averla posizionata all’ombra di un grande albero, possiamo tranquillamente lasciarci andare in queste acque incredibilmente limpide.

Con il trascorrere del tempo il mare si ritira, per cui la sera, al fine di raggiungere la barca, siamo costretti nuovamente a riprendere i cayak, pagaiando per un buon centinaio di metri. In breve lasciamo la magia di Koh Hong, ed attraverso un agitato Mar delle Andamane, raggiungiamo in circa un’ora Ao Nang, dove, dopo esserci concessi una strameritata doccia, usciamo alla ricerca di un posto dove cenare. Attraversiamo in breve tutta una serie di piccoli supermarket, centri di massaggi, negozietti in cui prenotare escursioni, altri con delle postazioni internet, ristoranti bar, diversi taxi abusivi con un cartello posizionato sul cofano, in cui sono scritte le località raggiungibili, ed i relativi prezzi. Restiamo colpiti favorevolmente dalla mancanza di prostituzione, piaga endemica purtroppo diffusa in altre località turistiche thailandesi, ma anche dalla nutrita presenza di famigliole con bambini ancor più piccoli di Valentina, comunque non italiane ma tedesche, i turisti che vanno per la maggiore qui ad Ao Nang. Una volta terminata la strada principale che costeggia la spiaggia, imbocchiamo una stradina pedonale chiusa alle auto, dove si susseguono molti ristoranti che offrono cucina a base di pesce. Ne passiamo in rassegna diversi, osservando il pesce esposto in bella vista su delle grandi quantità di ghiaccio. Tra giganteschi e deliziosi “tiger prawns”, calamari, immancabile riso fritto, e qualche eccellente “Singha” beer, pagando tra l’altro un conto irrisorio, inferiore ai 15 euro, caliamo il sipario su questa intensa giornata trascorsa, e lo facciamo ad un tavolo posizionato direttamente sul mare, questo Mar delle Andaman che sta entusiasmandoci per la sua straordinaria bellezza. Il giorno seguente, al buffet della colazione, Valentina viene accolta con grande entusiasmo dalle simpaticissime cameriere. Si avvicinano tutte al nostro tavolo chiamandola, e lei, vinta la diffidenza iniziale, si fa prendere in braccio da una di loro, la quale la porta a fare un giro nell’attiguo giardino. Nell hall troviamo puntualmente l’incarico della Budget ad attenderci. Oggi abbiamo infatti deciso di noleggiare un’automobile. Si tratta di una Toyota Soluna con il cambio automatico. Mi colpisce soprattutto il tipo di benzina che mi dice di usare, la “91” spiega il ragazzo, aggiungendo di non preoccuparmi, poiché basterà dire questo numero al distributore. Apprenderemo in serata, che la benzina da usare per la nostra auto è la 95, come chiaramente indicato sotto il tappo del serbatoio…In breve usciamo dall’albergo, constatando da subito che, malgrado il cambio automatico, ed alcuni optional che la rendono abbastanza moderna e confortevole, l’auto non dispone di servosterzo. Lasciamo rapidamente il traffico di Ao Nang e la costa, percorrendo alcune stradine dell’interno. Mi colpiscono subito i segnali di stop, scritti ovviamente in… thai. Raggiungiamo la national highway 4, una grande arteria che collega il sud al centro della Thailandia, che troviamo ovviamente abbastanza trafficata. Ci dirigiamo verso nord, seguendo i pochi segnali scritti in inglese che indicano la direzione Phang Nga – Phuket. La strada è percorsa da molti camion, i quali trasportano prevalentemente legname, mentre le corsie preferenziali sono percorse da centinaia di scooters, molti dei quali occupati anche da tre o quattro persone. Ci sono diversi segnali che indicano alcune svolte lungo il percorso, ma sono tutti scritti in thai e spesso, facendo finta di non vederci, mi diverto a chiedere a Patrizia cosa c’è scritto su questo o quel cartello. All’improvviso un’automobile proveniente dall’altra direzione mi lampeggia, emulata a breve distanza da un grosso tir, tanto che iniziamo a domandarci se abbiamo qualcosa che non va e per fortuna rallento la marcia. Infatti, dopo qualche centinaio di metri incontriamo un posto di blocco, ed i fari erano da intendersi come un chiaro segnale di avvertimento. Dopo un’ora e trenta di guida, notiamo chiaramente i cartelli scritti in inglese, i quali indicano sulla sinistra la svolta in direzione del Thambok Koranee National Park che, dopo una decina di minuti raggiungiamo. Visitiamo quello che è il quartier generale del parco, costituito da alcuni percorsi che si snodano attraverso una foltissima vegetazione tropicale, una serie di piccole cascate, diversi torrenti, alcune pozze d’acqua limpida, in cui potersi bagnare.

Ci sono diverse comitive di bambini, i quali, tanto per cambiare, sono attratti da Valentina e ci chiedono se possono posare per delle foto assieme a lei. Dopo qualche passeggiata all’interno del quartier generale di questo lussureggiante parco, dove ci siamo trovati spesso in compagnia degli onnipresenti macachi, riprendiamo la macchina con l’intento di visitare qualcuna delle tante grotte che lo stesso annovera, ubicate prevalentemente nel distretto di Ao Leuk. Dopo una buona mezz’ora raggiungiamo Laem Sak, piccolo paesino posizionato direttamente sulla costa. Iniziamo a chiedere informazioni circa Tha Baw Thaw, il punto in cui ci s’imbarca per visitare due delle grotte che c’interessano, ovvero la Tham Hua Kalok e la Tham Lawt, le quali sono raggiungibili in barca attraverso un percorso tra le mangrovie, ma non riusciamo ad ottenere quanto cerchiamo, in quanto nessuno spiccica una sola parola d’inglese. La strada curva prossimità del mare, e, percorrendo una piccola diramazione non asfaltata della stessa, incontriamo un villaggio di zingari di mare. Non si tratta dei soliti villaggi che ricevono quotidianamente visite turistiche, ma di un villaggio di pescatori piuttosto isolato, costituito prevalentemente da basse costruzioni su palafitte senza pareti. Molti degli abitanti stanno mangiando, e, passando vicino alle loro case con la nostra autovettura, ci sembra di rompere quella tranquillità che si respira nel villaggio, abbiamo la netta sensazione di essere indubbiamente degli intrusi che stanno violando la loro intimità. La Thailandia è l’unica nazione del sud-est asiatico a non aver mai subito colonizzazioni, ma purtroppo, in tempi moderni, gran parte dei suoi abitanti hanno ceduto il passo alla colonizzazione turistica. Ecco quindi che spesso, alcune minori etnie del nord, in cambio del prezioso dio denaro, subiscono quotidianamente l’orda vandalica di turisti armati di apparecchi fotografici, desiderosi di portarsi a casa l’ambito trofeo, consistente in un’inverosimile posa. Anche i Moken, i cosiddetti zingari di mare originari della Malaysia, presenti nel sud della Thailandia, sono caduti loro malgrado in questa assurda trappola turistica, permettendo ai loro villaggi di essere spesso invasi dalle comitive dei viaggi organizzati. Lasciamo questo villaggio con la speranza di non esser stati troppo invadenti, ma, soprattutto, sperando che queste popolazioni riescano ancora a mantenere intatta la propria identità culturale, anche se sappiamo in cuor nostro che non sarà affatto semplice. Valentina inizia a lamentarsi, ed anche noi abbiamo fame. Troviamo il Laem Sak Seafood Restaurant, un ristorante galleggiante dove sostiamo per un po’. Patrizia fa mangiare la piccolina, mentre io provo a chiedere qualcosa qui circa questo famigerato Tha Baw Thaw. Purtroppo, anche in questo ristorante il cui nome è inglese, nessuno pronuncia una parola che non sia in lingua thai. Finalmente trovo la persona che fa al caso nostro, la quale a gesti ci fa capire che gentilmente si offre di condurci fino al fatidico luogo. In alternativa, ci propone un giro con la sua barca nell’adiacente baia di Laem Sak, magari dopo pranzo. Sarà per la tarda ora, sarà perché non siamo invogliati a rimetterci nuovamente in macchina, sarà per il caldo, o forse, ancor più probabilmente per le prelibatezze che vediamo affiorare nei piatti degli altri avventori presenti, ma abbandoniamo l’idea delle grotte e ci sediamo a tavola. Fortunatamente il menu è scritto anche in inglese, ma nemmeno lo consultiamo, in quanto ci facciamo portare alcune pietanze che vediamo sugli altri tavoli, dove siedono alcune famigliole asiatiche. Dopo l’immancabile riso fritto, uno squisito e gigantesco granchio al curry, ed alcuni frutti di mare, ci imbarchiamo per un’oretta in compagnia del nostro amico, godendo di alcuni straordinari paesaggi della baia di Laem Sak, in cui si alternano decine di spettacolari faraglioni, a piccole grotte costituite da un’infinità di stalattiti. Nel pomeriggio riprendiamo la via di Ao Nang, ma costatando che è abbiamo ancora qualche ora di luce a disposizione, in prossimità di Krabi ci dirigiamo verso l’aeroporto, cercando la deviazione per le Huay Toh Waterfalls, altra grande attrattiva del circondario. Purtroppo è la solita storia, poiché i cartelli sono tutti in thai e ci riesce praticamente impossibile imboccare la strada giusta. Iniziamo quindi, cartina alla mano, a chiedere a diverse persone, finché un volenteroso ragazzo non ci accompagna con il suo motorino fino alla strada giusta, aggiungendo che dobbiamo percorrerla per circa una trentina di chilometri in direzione dell’interno. Raggiungiamo quindi l’ingresso del Khao Phanom Bencha National Park, dove si trovano appunto le Huay Toh Waterfalls. In questo parco della superficie di circa 50 chilometri quadrati, leggiamo che vivono diverse specie animali tra cui vari uccelli tropicali, ma soprattutto orsi, pantere, cervi, ed anche tigri, per quanto sembrano ormai date per estinte in tutto il sud-est asiatico. Subito dopo il parcheggio ci sono diversi sentieri, ampiamente contrassegnati da cartelli che ne indicano la lunghezza. Peccato però non avere sufficiente tempo a disposizione per percorrerne qualcuno abbastanza impegnativo, per cui dobbiamo accontentarci di incamminarci su quello della lunghezza di circa settecento metri, che, attraverso una rigogliosa natura ci conduce alle cascate. La stagione secca non rende però giustizia alle stesse, in quanto il gettito d’acqua è veramente esiguo, malgrado siano ubicate in un luogo di infinita bellezza naturale. Sconfortati da quest’esperienza, il giorno seguente abbandoniamo l’idea di spingerci a sud di Krabi per visitare le Sa Thung Tiaw, ovvero delle pozze naturali d’acqua calda, per quanto, confesso che mi allettava molto continuare a percorrere le strade interne di questa bellissima provincia thailandese. Optiamo quindi per un ritorno sulle isole di fronte ad Ao Nang, che due giorni fa ci avevano letteralmente entusiasmati. Salpiamo quindi rapidamente alla volta di Koh Poda, ma il mare, inizialmente piatto, inizia ad agitarsi man mano che allontaniamo dalla costa. In breve ci troviamo nel mezzo di alcune gigantesche onde, le quali fanno oscillare incredibilmente la long tail boat a destra e sinistra. Ci guardiamo spaventati negli occhi con Patrizia, la quale copre con un telo da mare Valentina, proteggendola in questo modo dall’acqua, che ci cade addosso in enormi quantità ad ogni sobbalzo della barca. Viviamo degli autentici ed interminabili attimi di autentico terrore. Ho paura, temo per l’incolumità di Valentina, e non oso pensare a cosa potrebbe accadere, ma ancora continuiamo ad oscillare in balia delle onde, sottoponendoci a delle ripetute e forzate docce, le quali ci tirano fuori delle urla dettate dal panico. Finalmente il mare si placa, perdendo la sua violenza ed il suo colore scuro a discapito di una tinta più tenue, in quanto siamo giunti in prossimità della costa di Koh Poda.

Trascorriamo qui metà giornata, sottoponendoci nel pomeriggio ad un’esperienza del tutto simile a quella vissuta in mattinata, e capendo di essere stati probabilmente avventati e sentendoci quindi in colpa per la nostra bimba. Spenderemo il pomeriggio ad Ao Nang, vivendo per la prima volta questa spiaggia, che poi in fondo non è così brutta, specie vedendola ora, distesi in tranquillità all’ombra di una delle sue palme e capendo che oggi la fortuna ci ha teso una mano. Il giorno dopo lasciamo Ao Nang, ed un po’ mi dispiace, in quanto siamo stati davvero bene in questi giorni, usando questa lunga spiaggia come base per vedere alcune incredibili attrattive della provincia di Krabi. Carichiamo i nostri bagagli su una long tail boat e raggiungiamo al largo l’Ao Nang Princess, un traghetto che ci condurrà alle Phi Phi Islands. Facciamo scalo nei paraggi della Railey Beach, dove alcune barche dalla lunga coda portano altri passeggeri a bordo. Resto ancora una volta estasiato dal sublime paesaggio che si manifesta ai miei occhi, costituito da candide spiagge intervallate da immensi roccioni carsici, mentre il traghetto si allontana gradatamente dalla costa, spingendosi verso l’azzurro intenso del mare. Credo che nessuna immagine possa rendere reale giustizia alla bellezza di Hat Tham Prha Nang, una spiaggia incantevole, delimitata da un’immensa falesia di calcare. Prha Nang, ovvero “principessa sacra”, il cui spirito, secondo una leggenda locale, sembra abitare in una grande grotta (tham) nei pressi della spiaggia, dopo che la principessa perse la vita in un naufragio alcuni secoli prima di Cristo. Resto ancora un po’ sul ponte, soffermandomi incantato ad ammirare questi superbi paesaggi, e godendomi la fresca brezza marina che mi fa sognare. Immagino la principessa, mi sembra quasi di vederla nella sua bellezza e nelle sue raffinate vesti. Chissà se è davvero mai esistita e se il suo spirito porti realmente fortuna alle decine di persone che le rendono onore visitando la grotta. Un branco di delfini, che si divertono a saltare davanti alla prua del traghetto, mi riportano alla realtà di questo mare fatato, ed inizio a pensare alle Phi Phi Islands. Già, chissà come saranno. Quante chiacchiere ho sentito ultimamente su queste due isole. Troppo affollate, troppo consacrate al turismo di massa, non sono più le stesse di una volta, e via discorrendo con giudizi negativi, intervallati da molte critiche positive, che le descrivono come due delle più belle isole del mondo. Dopo aver navigato per circa un’ora e trenta minuti, finalmente arriviamo alla nostra meta. Effettivamente non ricavo una buona impressione sbarcando ad Ao Ton Sai, una baia sui cui numerosi moli sono ancorate decine e decine di barche e traghetti, ed al cui interno spiccano innumerevoli negozi, bar, ristoranti, alberghi, sì, insomma, un vero e proprio villaggio. Percorriamo rapidamente una piccola stradina, raggiungendo la Loda Lum Bay, altra grande baia, separata dalla prima da uno strettissimo braccio di terra, ma che di fatto si trova dall’altra parte dell’isola. Questa baia è spettacolare, in quanto presenta un mare di cristallo, il cui fondale degrada molto lentamente verso il basso, ma anche qui l’ambiente è turbato dalle tante long tail boats ancorate e, dalle molte, forse troppe strutture ricettive. Comunque sia il posto è incantevole, anche se un po’ troppo affollato per i miei gusti. In breve salpiamo su una long tail boat, allontanandoci velocemente da questa baia e navigando lungo il versante occidentale dell’isola. Phi Phi Don ci mostra tutta la sua reale bellezza lontano dalla calca di Ton Sai e della Loda Lum Bay. Anche qui notiamo i soliti faraglioni che sembrano spuntare dal nulla in mezzo al mare, ed ai quali stiamo lentamente facendo l’abitudine. Superiamo rispettivamente la Nui Bay, una piccola e deserta baia da sogno, anch’essa protetta da una grande formazione carsica e poi un’altra baia più grande, la La-Na Bay, completamente orlata da palme, ed a sua volta totalmente deserta. Il mare inizia ad essere ora più agitato, in quanto stiamo doppiando Tong Cape, il punto più settentrionale dell’isola, ed il pensiero ritorna per un istante alle vicissitudini di Ao Nang, e a quella tragica mezz’ora vissuta in balia di un furioso Mar delle Andaman. Le onde lasciano comunque ben presto il posto ad un mare sempre più calmo, le cui acque assumono gradatamente dei colori tenui, facendo intravedere attraverso la loro trasparenza alcune pregevoli formazioni coralline. Siamo giunti a destinazione. La Laem Tong Beach ci appare in tutta la sua lunghezza, subito dopo aver navigato lungo il piccolo promontorio su cui è ubicato il Phi Phi Natural Resort. Sbarchiamo all’Holiday Inn Resort, ex Palm Beach Travelodge, il quale sorge in un fittissimo palmeto di cocchi. Mentre regoliamo le formalità alla recption, un’impiegata dell’hotel si avvicina prendendo tra le braccia Valentina e spalmandole con amore una pomata su un braccio dove hanno banchettato nella notte alcune voraci zanzare di Ao Nang. Restiamo ancora una volta colpiti favorevolmente dalla spontaneità dei gesti che queste donne thai mostrano verso la nostra bambina, dall’amore che manifestano, dai loro radiosi sorrisi, dalla loro innata dolcezza. Prendiamo possesso del nostro bungalow, immerso totalmente in questo fitto bosco degradante verso il mare, costituito da altissime ed affusolate palme da cocco. Tutt’intorno è un cinguettio di uccelli, che spesso vengono a posarsi sulla nostra veranda, per la felicità di Valentina che prova ad inseguirli. La Laem Tong Beach rispecchia in pieno le nostre aspettative, in quanto rimane abbastanza tranquilla, essendo lontana dall’attracco dei traghetti, e raggiungibile unicamente in barca, considerato che sull’isola non esistono strade, eccezion fatta per quella che si snoda attraverso il villaggio di Ton Sai. Il mare che lambisce questa spiaggia è di una trasparenza incredibile, ed è estremamente calmo. Patrizia ne approfitta per far bagnare Valentina, la quale sembra impazzita e non vuole più uscire da quest’acqua caldissima. Le vedo bagnarsi, mentre il sole inizia lentamente la sua discesa su questo spettacolare Mar delle Andaman, dove all’orizzonte si stagliano imponenti le scure sagome di Mosquito e Bamboo, altre due isole che visiteremo nei giorni seguenti.

Sì, capisco ancora una volta di essere un uomo fortunato, poiché ho la possibilità di poter visitare alcuni posti unici al mondo, la cui bellezza è davvero incredibile, e posso farlo con le due persone che più amo.

Ne approfitto per fare due passi lungo la spiaggia, restando per un attimo interdetto di fronte al cartello che espone la singolare scritta “Welcome to Sea Gipsy village”. A due passi dal nostro albergo sorge infatti un villaggio di zingari di mare, sicuramente più consacrato al turismo rispetto a quello in cui ci siamo imbattuti qualche giorno fa a Laem Sak a nord di Krabi. Gli abitanti di questo villaggio si sono infatti organizzati, aprendo dei piccoli empori dove vendono acqua minerale e bibite ad un prezzo corrispondente alla metà di quello praticato nei tre hotel presenti lungo la lunga spiaggia, e propongono inoltre l’affitto delle long tail boats per visitare i dintorni dell’isola. Nonostante questo, resta un villaggio tradizionale, dove, in particolar modo gli abitanti più anziani, sono tutt’ora legati alle tradizioni. Molti dei giovani hanno trovato degli impieghi negli hotel circostanti, spesso come conducenti di barche dalla lunga coda. Mentre sta ormai tramontando, mi siedo sulla sabbia, in prossimità del villaggio. Qui la spiaggia è poco attraente, in quanto le barche attraccate sono decine, ma osservare i bambini locali che giocano spensieratamente sulla stessa, mi ripaga più di mille paesaggi. Verremo spesso in questo villaggio, sia per acquistare qualcosa, che per fermarci a parlare un po’ con una simpatica cameriera del nostro albergo, la quale si è innamorata a prima vista di Valentina, a quanto sembra ricambiata. Così, durante la colazione, parliamo velocemente con lei, mentre si avvicina per salutare la nostra bimba, ed in serata l’andiamo spesso a trovare al suo villaggio, dove staziona spensieratamente in prossimità della spiaggia, assieme ai suoi amici. Nei giorni seguenti godremo appieno delle bellezze naturali che le due isole offrono ai visitatori. Usciremo quotidianamente di buon mattino e rientreremo nel tardo pomeriggio, sempre a bordo delle caratteristiche long tail boats, che, con il trascorrere del tempo, sono diventate una costante nel nostro viaggio.

Così, visiteremo molte altre spiagge e diverse piccole baie presenti a Phi Phi Don, capendo che, lontano dal caos del villaggio dove attraccano i traghetti, quest’isola ancora offre al visitatore degli angoli tranquilli, tutti di una bellezza tale da far male agli occhi. Anche la vicina Phi Phi Lae non è da meno, anzi, probabilmente è ancora più bella, malgrado l’assenza di lunghe spiagge sabbiose. Le dedichiamo una giornata intera, effettuando la prima tappa come da prassi sulla Ma-Ya Bay, la splendida baia dove è stato girato il film “The Beach”. E’ storia nota di come Ma-Ya bay sia stata al centro di infinite polemiche a causa dell’ambientazione del film in un’area protetta del parco nazionale. Furono piantate delle palme per rendere più scenografica la baia, che già di per sé è di una bellezza irreale, essendo lambita da un mare dalle tonalità impossibili da descrivere, la cui trasparenza è davvero incredibile.



Le piante però non attecchirono, tanto che dopo la fine delle riprese furono rimosse, ma le polemiche continuarono, poiché gli ecologisti sostengono, probabilmente a ragione, che il prezioso sistema ambientale della baia sia stato compromesso per sempre. E’ chiaro che dopo la proiezione del film nelle sale cinematografiche di tutto il mondo, la fama di Ma-Ya bay è drasticamente aumentata, e di conseguenza anche il relativo flusso turistico, ma lo scempio compiuto nella baia non è a mio parere inferiore rispetto a quello perpetuato sulla Ton Sai di Phi Phi Don, dove si continuano a costruire strutture ricettive. Inoltre, molti sostengono che Ma-Ya bay sia stata anche in un certo qual modo ripulita prima delle riprese, in quanto furono rimosse alcune tonnellate di rifiuti, considerato che le Phi Phi Islands sono ormai visitate da diversi anni. Il nostro giro attorno a Phi Phi Lae continua, effettuando dapprima un mediocre snorkeling nella scenografica Loh Sama Bay, ed in seguito bagnandoci nelle limpide acque verde smeraldo della Pi Leh Bay, forse la più bella baia in assoluto vista in queste isole. Sono ormai le prime ore del pomeriggio quando gettiamo l’ancora della barca sul basso fondale della splendida baia, incuneata tra due grandi formazioni rocciose. Valentina si è addormentata, ed il simpatico barcaiolo aggancia un’amaca lungo i due lati della barca, sulla quale la corichiamo.

Il ragazzo, anch’egli uno zingaro di mare, è di una dolcezza estrema, tanto che ci invita a tuffarci in queste acque incredibili, offrendosi addirittura di cullare Valentina, la quale ora dorme beatamente sull’amaca, dondolata dal ragazzo e cullata teneramente dal leggero movimento della barca ancorata in questo mare di giada, in cui nuotiamo rimanendo ancora una volta folgorati dalla bellezza fiabesca del posto.

L’ultima tappa a Phi Phi Lae è la Viking Cave, una grotta così chiamata a causa di alcune pitture antropomorfe presenti al suo interno, le quali ricordano le classiche imbarcazioni vichinghe, ma che, con tutta probabilità, rappresentano le caratteristiche giunche asiatiche che per secoli hanno solcato questi mari. All’interno della grotta ci sono delle canne di bambù, erette verticalmente verso le pareti per una lunghezza di circa 150 metri. Sono usate dagli abitanti locali per prendere i nidi di rondine, venduti successivamente per pochi soldi ai mercanti delle grandi città asiatiche come Singapore ed Hong Kong, nei cui ristoranti, una zuppa degli stessi costerà una cifra da capogiro. Spesso, questi pescatori perdono la vita durante questa operazione, poiché una caduta da tale altezza è inevitabilmente fatale. Durante i nostri giri visitiamo anche le due isole al largo della Laem Tong Beach, ovvero Bamboo e Mosquito. La prima è dichiarata parco nazionale marino, tanto che per accedervi dobbiamo pagare la simbolica cifra di venti bath ad un ranger. Appena sbarcati ci incamminiamo in un boschetto, al fine di raggiungere la spiaggia situata sull’altro lato dell’isola. All’interno incontriamo un gruppo di giovani campeggiatori thai, i quali, tanto per cambiare, ci chiedono di poter posare accanto a Valentina per delle foto, la quale sarà ormai presente negli album di mezzo oriente, ripensando anche alle numerose foto che le scattarono ad Hong Kong la scorsa estate. Anche qui troviamo una classica e solitaria spiaggia da cartolina, lambita da un mare incredibilmente trasparente, dove nuotano indisturbati decine e decine di pesci multicolore, completamente indifferenti alla nostra presenza.

In seguito effettuiamo un po’ di snorkeling proprio vicino a Bamboo Island ed in prossimità di Mosquito, l’altra isola poco distante, ma restiamo in verità alquanto delusi dallo stato in cui versano i coralli. Chiedo al ragazzo di condurci sulla Loh Bagao Bay, in quanto sono afflitto dalla curiosità di vedere il posto, ed il Phi Phi Island Village, l’unico albergo della baia, in cui tra l’altro non siamo riusciti a trovar posto. Il giovane ferma però la barca in una piccola spiaggetta, posta tra la Laem Tong Beach e la Loh Bagao Bay, chiedendoci se possiamo fermarci dieci minuti. Restiamo seduti sulla stessa, mentre lui scende, dileguandosi rapidamente tra la vegetazione. In breve approda un’altra barca, seguita ancora da un’altra e via di seguito da altre ancora. Scendono tantissimi zingari di mare e dai pianti sostenuti di alcune donne, capiamo che si tratta di un funerale. Assistiamo a delle autentiche scene di dolore e restiamo a nostra volta ammutoliti. Il ragazzo torna dopo una buona mezz’ora in compagnia di due ragazzini. Si scusa con noi per il ritardo sorridendo. Gli chiedo se era morto qualcuno e, sorridendo, mi risponde nel suo stentato inglese “yes sir… my mother”. Rimango incredulo e gli ripeto la domanda, sperando di ricevere un’altra risposta: “your mother?”. La risposta è ancor più agghiacciante, in quanto, ribadendo quanto mi aveva appena detto, capisco di aver capito bene anche la prima volta. Gli dico che ci dispiace e che se volesse trattenersi ancora, per noi non ci sarebbero problemi, ma risponde di no. Sono frustrato dal dispiacere, in quanto inevitabilmente penso che questo ragazzo potrebbe starsene tranquillamente al funerale di sua madre a celebrare le proprie usanze, mentre invece deve scarrozzare noi turisti per le baie di quest’isola. Credo che lui stesso si accorga del mio stato d’animo, tanto che improvvisamente smette di sorridere divenendo pensieroso, e noto chiaramente sul suo volto i segni tangibili del dolore. Durante i cinque minuti di barca che ci separano dalla Loh Bagao Bay, rimarrò sulla prua della long tail boat fissando il mare, sperando che il vento asciughi i miei occhi, e che i colori accesi dell’acqua marina, possano in qualche modo distogliere la mia attenzione da quanto si è appena verificato, tornando a farmi vivere spensieratamente da turista in questi luoghi da favola. La Loh Bagao Bay rispecchia le nostre aspettative, il mare che la lambisce sembra costituito da acqua minerale, la spiaggia, orlata da altissime palme da cocco è davvero spettacolare, così come il Phi Phi Island Village, il quale ci fa ancor più rammaricare di non aver trovato posto per soggiornarvi.

Stazioniamo un po’ nell’albergo, dopodiché riprendiamo il mare aperto. Abbiamo ancora qualche ora a disposizione, ma ci facciamo condurre sulla nostra spiaggia, salutando il nostro amico. Trascorreremo qui le rimanenti ore di quest’ultima intensa giornata, godendoci fino al tramonto questo spettacolare Mar delle Andaman, che, tra spiagge, isole, leggende e storie vere, ha saputo regalarci in questi giorni delle intense emozioni.


Visitate anche la galleria fotografica delle Phi Phi Islands

 

 

BACK